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Così anche Putin entra nella corsa alle terre rare

Anche la Russia entra ufficialmente nella corsa globale alle terre rare. Ad annunciarlo, il ministro dell’Industria e del Commercio russo Alexei Besprozvannykh interpellato dall’agenzia Reuters. Le terre rare sono elementi cruciali nell’attuale transizione energetica e digitale: grazie alle loro proprietà magnetiche e fisico-chimiche, sono veri e propri “abilitatori” per la fabbricazione di magneti, pannelli solari, turbine eoliche oltre ai più moderni sistemi d’arma, fino alle componenti dei nostri smartphone e tablet.

Il piano prevede un investimento da parte del governo pari a 1,5 miliardi di dollari, tramite incentivi fiscali e prestiti a condizioni favorevoli, per una lista di 11 progetti volti a scalare le gerarchie nell’attuale posizione di mercato (solo l’1,3% dell’output mondiale) per raggiungere il 10% entro il 2030 e rendere il paese autosufficiente entro il 2025.

Si tratta di un obiettivo ambizioso ma in linea con una tendenza sempre più diffusa, trainata in primis dagli Stati Uniti, per svincolarsi dalla morsa magnetica della Cina, le cui quote lungo le catene del valore – dall’estrazione, passando per la processazione dei concentrati (rare earth oxide, Reo) fino alla fabbricazione di prodotti finiti – sfiorano livelli monopolistici che hanno nuovamente riacceso un dibattito sulla dipendenza da Pechino e spinto ad adottare nuove iniziative e misure in Occidente, come raccontato da Formiche.net.

La Russia, la cui quota di produzione del 2019 era pari a circa 2.700 tonnellate secondo lo U.S. Geological Survey, è in realtà il quarto Paese per riserve mondiali (giacimenti noti) con 12 milioni di tonnellate, dietro soltanto a Cina, Brasile e Vietnam. Negli ultimi decenni ha quindi estratto molto meno di quanto potesse per la ricchezza dei suoi giacimenti.

La spiegazione? Un mercato già saturato dall’offerta cinese e dai suoi prezzi iper-competitivi: secondo le stime della China’s General Administration of Customs elaborati dallo statunitense Center for Strategic and International Studies (Csis), la Cina ha esportato terre rare per un valore di 398,8 milioni di dollari nel 2019. La grande maggioranza è stata importata dalle principali potenze tecnologiche mondiali: il 36% (per volume) dal Giappone, principale acquirente delle terre rare cinesi, mentre gli Stati Uniti sono al secondo posto (33.4%), seguiti da Olanda (9,6%), Corea del Sud (5,4%) e sorprendentemente dall’Italia (3,5%). Cinque Paesi che contano, da soli, per il 87.8% dell’export totale della Cina.

I dati del U.N. Comtrade Database, da una prospettiva mondiale, mostrano come tra il 2008 e il 2018 il resto del mondo abbia esportato mediamente più della metà dell’output mondiale di terre rare per volume (57,7%) con la Cina ferma al 46,3%. Questo è un dato significativo che conferma alcune tendenze del mercato cinese degli ultimi decenni, pronto a consumare terre rare più di quanto non ne esporti per via dell’appetito di prodotti finiti tecnologici che il piano Made in China 2025 con tutta probabilità stimolerà.

È in questo solco che vorrà inserirsi la Russia di Vladimir Putin decisa a diventare, con le parole di Besprozvannykh, “almeno la seconda [esportatrice] dopo di loro [i cinesi] entro il 2030”, con la produzione che potrebbe raggiungere le 7.000 tonnellate nel 2024.

Punto cruciale rimarrà, come nel caso dei recenti sforzi dell’establishment politico e della Difesa negli Stati Uniti — come raccontato da Formiche.net – garantire l’afflusso di investitori e la convenienza di investimenti in un settore fortemente instabile e volatile per via della straordinaria posizione di mercato della Cina.



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