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Luci e ombre del reclutamento nella Pubblica amministrazione secondo il prof. Balducci

Il 30 giugno scorso è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale serie speciale concorsi  il bando per la selezione di 2.133  “funzionari/quadri” destinati a varie amministrazioni centrali. La gestione del concorso è stata affidata al Formez (in particolare al progetto Ripam, riqualificazione pubblica amministrazione).

È la prima volta che si organizza un concorso per reclutare contemporaneamente in amministrazioni diverse ed è la prima volta che il concorso viene esternalizzato ad una struttura del nostro sottogoverno, il Formez.

Il progetto Ripam è nato per il reclutamento nelle amministrazioni regionali e locali del sud una trentina di anni fa e non sembra abbia sin qui rappresentato quella svolta che ci si aspettava. Quando viene usato per le amministrazioni meridionali il progetto Ripam presenta la caratteristica, di per sé interessante, di accoppiare reclutamento con formazione. Caratteristica interessante ma applicata male da Ripam che fa fare la formazione dei reclutandi non al personale in servizio (ragionieri, responsabili degli appalti, dell’urbanistica ecc.) cui affidare l’insegnamento del “saper fare” ma a “formatori” dotati di una competenza generica di tipo socio-psicologico cui si affida l’insegnamento di un “saper essere” completamente svincolato dalle prassi operative delle amministrazioni in cui i reclutandi saranno poi integrati.

Nel decreto di agosto (art. 24 del DL 104/2020) si prevede l’assegnazione di diverse centinaia di incarichi diretti a collaboratori esterni al Mibact per la durata di 15 mesi, (orientativamente 500 soggetti da remunerare con ca. 40.000 euro lordi l’anno) collaboratori che potrebbero svolgere anche la funzione di responsabili unici di procedimento. Si crede di capire che si cercherà di privilegiare l’esperienza e non il titolo di studio. Nello stesso decreto si prevede l’assunzione di nuovi dirigenti, sempre al Mibact, modificando l’attuale normativa del corso-concorso in tre punti: (i) innanzitutto  si recluteranno dirigenti destinati ad un unico ministero (mentre il corso-concorso prevede il reclutamento di dirigenti a 360 gradi, quindi in grado di svolgere attività dirigenziale in qualunque ministero); (ii) potranno partecipare al corso-concorso non semplici laureati ma individui in possesso di dottorato di ricerca; (iii) potranno partecipare al corso-concorso anche funzionari già in servizio (meccanismo già previsto di avanzamento in carriera ma che non contemplava il passaggio attraverso il corso-concorso).

La confusione sotto il cielo è molta. Mentre nel caso Ripam si va verso un reclutamento coordinato per le varie amministrazioni, nel caso Mibact si differenzia il reclutamento per un singolo ministero anche là dove la normativa esistente prevedeva un reclutamento valido a 360 gradi. La necessità di sbloccare in tempi rapidi una situazione bloccata dai decreti Monti (che prevedevano il turn-over solo di 1/6 dei dipendenti che andavano in pensione) sta producendo risposte istituzionali episodiche e prive di logica.

Da questi due esempi possiamo già enucleare tre grossi disagi che caratterizzano il reclutamento nella nostra Pubblica amministrazione.

Il primo disagio consiste nel fatto che si percepisce oramai chiaramente la necessità di accoppiare reclutamento con formazione ma non si sa come realizzare questo accoppiamento. Alla Scuola Nazionale di Amministrazione (Sna) i corsi-concorsi ripetono le lezioni accademiche (quindi si ribadisce il “sapere” che i candidati dovrebbero già possedere avendo acquisito una laurea). I corsi Ripam provano a fornire un generico “saper essere” completamente avulso dal funzionamento dell’amministrazione. Non si è ancora capito che la formazione all’entrata (quella che con il corso-concorso e con il metodo Ripam si tenta di accoppiare al reclutamento) non deve ribadire il sapere né fornire strumenti socio-psicologici vaghi. La formazione in entrata deve fornire il “saper fare”. Deve fare in modo che il neoassunto, una volta preso servizio, sia direttamente operativo senza dover passare anni ad imparare come operare, anni durante i quali riceve uno stipendio ma non rende, anzi fa “perdere tempo” ai colleghi che, anziché fare il loro lavoro, devono insegnare al neoassunto come operare.

Il secondo disagio consiste nel fatto che il reclutamento nel nostro pubblico impiego avviene a singhiozzo. Si attende che i posti si rendano vacanti e poi, disponibilità finanziarie permettendo, si bandiscono tanti concorsi parcellizzati. Sopra le Alpi la selezione usualmente non è a singhiozzo. Si conosce, sulla base dei dati storici, il turn over annuale. Su questo dato vengono strutturati percorsi di selezione, accoppiati alla formazione, tali per cui, quando si rende vacante un posto è possibile reclutare il rimpiazzo immediatamente. Qui va fatto un richiamo fondamentale: l’insegnamento del “saper fare” non può essere affidato alle “università” ma deve essere affidato ad organizzazioni ad hoc che devono occuparsi di individuare i migliori dirigenti e funzionari e li devono formare a trasmettere il loro “saper fare” ai reclutandi. Non si può qui non menzionare il flop fatto dagli insegnanti della Bocconi quando, nell’era del governo Monti, furono chiamati ad erogare non pochi corsi alla Sna. In effetti gli insegnanti bocconiani, privi di conoscenza della nostra amministrazione, provavano a diffondere dei “saper essere” moderni. Non conoscendo su quali “saper fare” concreti questi modelli comportamentali si sarebbero dovuti appoggiare, il risultato è stato un semplice rigetto.

Il terzo disagio consiste nel fatto che nella nostra Pubblica amministrazione non è disponibile quello che i francesi chiamano il “referenziale dei mestieri”, la lista cioè dei profili professionali di cui ha bisogno la nostra amministrazione, lista declinata in termini di “saperi” e di “saper fare”, non in termini di titoli di studio. Il reclutamento/formazione andrebbe organizzato sistematicamente, sulla base del turn over storico, facendo riferimento a questo referenziale dei mestieri.

Qui va accennato al fatto che l’Aran ha recentemente messo a punto un decoroso elenco di profili professionali. L’obiettivo dell’Aran è quello di avere un quadro di riferimento per la contrattazione con i sindacati. È comunque un interessante punto di partenza.

Il richiamo all’Aran fa emergere un ulteriore problema: la frammentarietà della gestione del nostro pubblico impiego. Non sono molti i Paesi che hanno una agenzia per il pubblico impiego (il Giappone, la Francia per quanto riguarda il personale delle amministrazioni locali e pochi altri). Ma dove esiste, questa agenzia svolge tutte le funzioni relative alla gestione del pubblico dipendente, dal reclutamento, alla formazione alla negoziazione con i sindacati. Funzioni che da noi sono disperse un po’ qua e un po’ là.

Qui c’è da fare un ennesimo appello a voler affrontare con sistematicità il tema della nostra riforma amministrativa. È difficile negare che i tentativi di riforma che vengono attualmente prodotti non fanno riferimento a un quadro metodologico chiaro. Il caso italiano non è il primo di questo tipo. Il passaggio alla democrazia dei Paesi dell’Europa Centrale e Orientale ha dovuto fare i conti con problemi simili. Una notevole esperienza è stata maturata in questo campo.

Per superare le disfunzioni sopra evidenziate va sviluppata una vera e propria strategia di modernizzazione amministrativa. Strategia che deve articolarsi nelle seguenti fasi:

1. Descrizione della situazione esistente (nel linguaggio degli amministrativisti tedeschi Ist-Zustand)

2. Valutazione della situazione

3. Disegno del modello verso cui tendere (Soll-Zustand)

4. Individuazione e pianificazione delle tappe di passaggio dallo Ist-Zustand al Soll-Zustand.

Gli sforzi fatti sin qui per migliorare la nostra amministrazione, lasciano molto a desiderare dal punto di vista metodologico. Ma allora perché non ci rivolgiamo a chi negli ultimi 30 anni ha sviluppato metodi e accumulato esperienze in questo campo? L’invito è a rivolgersi al Consiglio d’Europa perché ci affianchi in questa fase. Parte delle risorse del Recovery fund potrebbero essere gestite insieme al Consiglio d’Europa per questo affiancamento.

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