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Referendum, Giuseppe Benedetto spiega la (vera) posta in gioco

Quando abbiamo pensato il Referendum lo abbiamo immaginato proprio così. Capace di scompaginare la vecchia politica italiana. Confronto tra visioni diverse della società, tra culture anche contrapposte, senza la melassa del politicismo applicato ai rapporti tra partiti. Vedere quello che sta succedendo in queste ore ci riempie di soddisfazione.

Da un Pd che deve fare i conti con il suo mondo, con una sinistra italiana che non si piega alla vetusta logica della alleanze per salvare il governo, perché di questo si tratta; ad una Lega che è in sempre più evidente imbarazzo, dibattendosi tra voti espressi in Parlamento e un popolo di elettori che ancora una volta ha compreso prima e meglio dei vertici del proprio partito di riferimento qual è la vera posta in gioco.

Insomma, da sinistra a destra, passando per un centro ormai quasi completamente schierato per il NO, è tutto un rimescolamento degli stereotipati fronti contrapposti.
Infatti, la posta in gioco è una e una sola. L’effettivo superamento della opprimente società che fonda sul qualunquismo, sul populismo, sul più becero giustizialismo la relazione tra eletto ed elettore, tra cittadino e pubblica amministrazione, tra individuo e Stato.

Vi anticipo quello che succederà nelle prossime settimane.

Sempre più sullo sfondo, sempre più sbiadito, sarà il tema che dà il nome al referendum: il taglio dei parlamentari. Ed è bene che sia così. Quello del taglio dei parlamentari, dei costi della politica, è stato il velo da stracciare, che ha guidato l’azione della Fondazione Einaudi, allorché ha pensato, promosso e imposto il Referendum.

La posta in gioco è altra, è molto più alta. Si tratta di due visioni contrapposte della società.

Da un alto c’è chi cerca, ormai disperatamente, di far rivivere una stagione superata. Quella del “vaffa”, dell’umiliazione della politica, del ridimensionamento sino all’annullamento dello stesso concetto di rappresentanza. In  nome di una c.d. democrazia diretta che ben si sintetizza nello slogan “uno vale uno”.

Dall’altro lato c’è la società aperta, quella per la quale “uno vale tutto”, per la quale l’uomo è al centro di un consesso sociale dove qualità, merito, sacrificio vanno premiati. Dove va salvaguardata la einaudiana uguaglianza dei punti di partenza, per crescere liberamente, gioiosamente diseguali.

Ecco per cosa si voterà il 20 e 21 settembre prossimi.

La vittoria del Sì sarebbe il cupo reiterare di slogan rabbiosi e insulsi, il prosieguo di questo osceno spettacolo di una classe dirigente (ad iniziare da quella politica, ma non solo) che riesce bene ad esprime il peggio di sé.

La vittoria del No, offrirebbe l’opportunità soprattutto ai nostri giovani di misurasi con se stessi e con le emergenti generazioni degli altri Paesi, con competenza, professionalità, in nome di un mondo gioioso, sostenibile e giusto.
 


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