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Rete unica e 5G. I nodi che la politica deve affrontare. L’analisi di Boccadutri

Il tema 5G e rete unica, di cui anche Formiche.net si sta occupando, va affrontato anche sotto alcuni aspetti, qui solo accennati, non necessariamente connessi al tema che sta infiammando il dibattito estivo e che ha visto in tanti esercitarsi nei più elaborati sofismi a favore di una rete unica ma pubblica.

Il primo punto è che ovviamente quando si parla di connettività, tutto è connesso con tutto, ma questo non significa che, sull’onda di slogan poco fondati, si debba far confluire tecnologie distinte in un unico calderone.

Il 5G è innanzitutto una tecnologia mobile e riguarda mercati rilevanti collegati ad essa. Alcuni mercati rilevanti, come i servizi di telefonia mobile, si basano totalmente sulle tecnologie 4G, 5G e così via. Non a caso sono questi operatori, alcuni dei quali assenti dalla rete fissa come Iliad, hanno partecipato alle aste per le frequenze, che in Europa hanno registrato entrate importanti per le casse pubbliche. Dunque, di per sé, aggiungere il tema 5G, in un dibattitto che riguarda la rete unica fissa, rischia di generare molta confusione.

Naturalmente alcuni business use, inclusi quelli cosiddetti verticali, possono beneficiare di collegamenti in 5G localmente (per esempio in singole aree o anche a livello di impianti), quando sorge la necessità di collegare aree esterne è necessaria una rete fissa ad alta capacità. Ma anche qui occorre fare attenzione: un conto è dire che la connessione 5G per usi non mobili si avvantaggia di una rete in fibra, ad esempio il collegamento tra le nuove antenne, altra cosa è dire che una rete unica “deve” anche includere il 5G.

A ciò va aggiunto che, proprio per la costruzione di reti mobili come il 5G, in particolare in relazione alle infrastrutture di torri, il nuovo codice europeo prevede forme di sharing e co-investimento (che possono riguardare operatori fissi e mobili), come quelle operate nel caso Inwit. Mettere tutto assieme nel dibattito può dare enfasi al “discorso sulla rete” ma generare confusione, dando meno valore alla costituzione della rete unica.

L’ambiente 5G, dalle frequenze ai servizi, nasce soprattutto in un contesto di concorrenza infrastrutturale nel quale gli operatori mobili sono protagonisti. Altrimenti non si comprenderebbe la ragione per la quale operatori come OF non hanno partecipato alla costosa asta per il 5G. Inoltre, non si può pensare che l’operazione rete unica possa essere un modo per acquisire frequenze che non si sono ottenute via asta.

Altro tema, naturalmente è quello della sicurezza delle reti 5G. Ma su questo punto i governi si sono già mossi estendendo il Golden Power a tutte le componenti di una rete 5G.

L’infrastruttura di qualità serve anche per sfruttare pienamente le potenzialità del 5G, non quelle ludiche ma applicazioni delicate e alcune volte anche critiche: dalla guida autonoma alla telemedicina. Passando anche da quelle relative all’automatizzazione di processi produttivi sia per la gestione del rischio e una maggiore sicurezza dell’ambiente di lavoro sia per un maggiore utilizzo della robotica di precisione in settori lavorativi altamente usuranti.

Per tutte queste applicazioni serve quindi una infrastruttura di qualità (ovvero nella migliore tecnologia oggi disponibile: la fibra) ma che sia diffusa, capillare appunto. Ma una infrastruttura di qualità e capillare deve essere anche ben gestita. E in questo caso ho alcuni dubbi sul fatto che una società garantisca una gestione efficiente per il solo fatto che sia pubblica. Quel che è certo invece è che durante il lockdown, l’aumento dell’80% del traffico su reti fisse ha trovato una pronta risposta degli operatori. Ciò anche in termini di nuove attivazioni di linea fissa, che sono state gestite in modo assolutamente efficiente, comprese quindi anche quelle del segmento Wholesale di Tim.

Tornando al tema della sicurezza, che non si pone soltanto in termini di tutela del dato ma anche, per le potenziali applicazioni del 5G, in termini di continuità di servizio. Sulla questione attualmente soltanto il Regno Unito sembra aver assunto una linea precisa escludendo gli apparati cinesi dalla rete 5G d’oltremanica. È di questo che dovrebbe discutere di più la politica, di questo dovrebbe preoccuparsi. Il governo dovrebbe una volta per tutte, andare in fondo alla questione, analizzarla sotto ogni aspetto e prendere una decisione. Una volta deciso il governo dovrebbe sostenere economicamente, per la tutela generale di un interesse pubblico, le imprese nella sostituzione degli apparati ritenuti non sicuri. Ma non nascondiamoci dietro un dito: non si tratta solo di una decisione di prodotto e tecnologia, ma è una scelta di campo geopolitico. Il governo finora ha detto che è una scelta che va allineata a livello europeo, corretto. Ma qual è la posizione del nostro governo in Europa? E con quali argomentazioni è sostenuta questa posizione ai tavoli europei? Oppure quando si dice che “la scelta va presa in Europa” si sta dicendo che l’Italia non ha una sua posizione e si adeguerà a quella degli altri, relegando ancora una volta il nostro paese al ruolo di spettatore e non di protagonista delle politiche di sviluppo, innovazione e sicurezza dell’Unione? I politici dovrebbero evitare di citare il Golden Power come se rappresentasse un elemento di posizionamento. Il Golden Power è uno strumento azionabile, ma non esprime una posizione di merito sulla questione.

Infine, lo sviluppo del 5G porta con sé un altro tema rimasto in sospeso, quello dei limiti di emissione elettromagnetica, vigenti in Italia, rallenteranno lo sviluppo delle nuove reti. E’ un tema che incrocia anche le resistenze di alcuni comuni all’installazione di antenne, questione che il governo sta tentando di risolvere con alcuni interventi normativi. Ma non ci si può fermare a questo, il tema va affrontato a tutto tondo, sia innalzando gli attuali limiti (molto contenuti rispetto ad altri Paesi Ue), sia perché la metodologia di calcolo non è adeguata alle caratteristiche del 5G.

Secondo un rapporto dell’Oms a livello mondiale, ci sono solo due paesi, l’Italia e la Bulgaria, che hanno un limite pari a 6 V/m, per l’Italia si tratta di un limite di fatto, mentre quello teorico consentito sarebbe maggiore (pari a 20 V/m, ma quando nel raggio di esposizione ci sono abitazioni o scuole, ovvero luoghi in cui le persone soggiornano per più di 4 ore, è applicato infatti un valore di attenzione di 6 V/m su una media di 24 ore). Mentre negli altri Paesi i limiti oscillano tra i 41 e i 58 V/m. Va inoltre ricordato che le antenne 5G sono dinamiche e selettive, quindi irradiano il terminale, evitando la diffusione di potenza in direzioni inutili. Le antenne 5G sono già quindi più efficienti e più pulite.

Se non vogliamo che alla fine il 5G si riduca in Italia alla possibilità di visionare agevolmente un film in 4K in mobilità, la politica piuttosto che appassionarsi al dibattito rete unica e pubblica, dovrebbe avere il coraggio di affrontare una revisione dei limiti, senza la quale il 5G italiano sarà un 5G minore per qualità trasmissiva e copertura, rendendone arduo l’utilizzo per le applicazioni più innovative. Applicazioni che possono favorire lo sviluppo del sistema Paese.


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