Che a Washington DC ci sia un certo disappunto (eufemismo) verso lo stop del governo italiano nei confronti dell’investimento del fondo statunitense Kkr nella rete di Tim è una sorpresa per molti, ma non per tutti. L’articolo pubblicato dall’inviato del quotidiano La Stampa ha dato evidenza a valutazioni di cui Formiche.net aveva già dato evidenza ai suoi lettori. “Sospetto che questo accanimento contro i fondi americani rientri nei doveri di vassallaggio verso Pechino”, dichiarava a Formiche.net Giulio Sapelli, saggista, economista e storico della Statale di Milano dopo il blitz del governo. Sempre a Formiche.net Carlo Pelanda, analista geopolitico e finanziario, diceva: “Quella per la rete è solo una delle tante puntate, nel caso specifico sarei prudente. I fondi di investimento sono sempre intermediari, se hanno contatti con il mondo diplomatico e politico non li fanno emergere. Che la Cina voglia penetrare la rete italiana è fuor di dubbio, il nostro Paese è l’ultima cosa rimasta da penetrare per i cinesi in Europa. Ma, per il momento, è blindato”.
Oggi La Stampa rivela che il fondo statunitense Kkr “ha espresso forte disappunto per quanto appreso dagli organi di stampa sul possibile ricorso del governo al golden power per opporsi all’accordo” con Tim. Si sarebbe mosso il numero uno del fondo in persona, Henry Kravis, chiedendo informazioni anche all’ambasciatore a Roma, Lewis Eisenberg (con un trascorso da consulente per Kkr). “Il quesito è: l’esecutivo non dice no a Huawei e sarebbe pronto a opporsi a Kkr con il golden power girando di fatto le spalle a un alleato atlantico?”, riporta il quotidiano torinese che ricorda anche come Cdp reti (controllata da Cdp che a sua volta controlla al 50% con Enel OpenFiber) sia partecipata al 35% da State Grid Corporation of China.
Cosa nasconde l’interventismo dell’esecutivo e in particolare degli esponenti del Movimento 5 Stelle come Stefano Patuanelli, Stefano Buffagni e il premier Giuseppe Conte? La chiave di lettura la offre lo stesso fondatore del Movimento.
“Sovranista sì, ma a targhe alterne. Se le aziende cinesi entrano nella rete, nessun problema. Se lo fa un’azienda americana, apriti cielo”, commentavamo su Formiche.net raccontando il recente intervento a gamba tesa del fondatore del Movimento 5 stelle, Beppe Grillo, giunto una settimana dopo un maldestro blitz del governo — la telefonata del premier Giuseppe Conte e la lettera dei ministri Roberto Gualtieri e Stefano Patuanelli per chiedere alla società guidata da Luigi Gubitosi di prendere tempo davanti all’offerta statunitense.
L’ex comico aveva detta la sua con un post sul suo blog — lo stesso sul quale si possono leggere tesi secondo cui i timori per la sicurezza della partecipazione di aziende cinesi come Huawei e Zte alla rete 5G italiana siano malriposti e malintenzionati fino agli articoli del professore Fabio Massimo Parenti che invitava alla “necessaria demolizione dell’approccio protezionistico italiano”. Grillo sosteneva la necessità di dividere in due Tim, con una società concentrata “sulle attività tecnologiche” separata “dal resto del perimetro aziendale”. Rete unica con Open Fiber, in cui sia azionista Cassa depositi e prestiti, sotto “la guida e l’indirizzo di istituzioni pubbliche”. Poi, nello stesso post, l’affondo sulla vicenda Tim-Kkr. Fermare l’operazione per avere una rete sovrana e sovranista, ecco la missione di Grillo: l’affare Tim-Kkr produce “uno spezzatino delle infrastrutture di Tim e l’ingresso di un ulteriore investitore (nonché interlocutore) estero in asset strategici per il Paese con il solo obiettivo di conseguire benefici finanziari di breve periodo”, scriveva.
Se oggi emerge allo scoperto il sospetto Usa di una prevalenza della lobby cinese che magari vuole anche vendicarsi della scelta di Tim di scuderie Huawei dalle gare sui sistemi core del proprio 5G, perché rimanere sorpresi? Il futuro delle tecnologie nelle telecomunicazioni è il principale terreno di scontro fra Cina e Stati Uniti. Questo è ormai chiaro e noto così come il fatto che l’Italia è uno dei luoghi in cui questa battaglia, anche diplomatica e culturale, si sta giocando. Interessi economici e di sicurezza internazionale si combinano fino a confondersi. L’Italia è un Paese sovrano e farà le sue scelte sulla base anche delle decisione maturate nel parlamento che rappresenta gli interessi di tutti i cittadini. Quello che non possiamo permetterci è l’ingenuità di chi pensa che certe dichiarazioni o decisioni non abbiano impatto fuori dai nostri confini. Questo davvero è un insulto insopportabile.