Il voto parlamentare che lo ha mandato a processo per i fatti della “Open arms” non è oggi il problema più grave per Matteo Salvini.
È vero, il blocco tra sinistra (oggi giallorossa, quindi a tasso ancor più alto di giustizialismo) e magistratura politicizzata-corporativa tende geneticamente a tentare ad “espellere” i propri avversari giudicati più pericolosi attraverso inchieste giudiziarie e processi del tutto “contra personam”, e dopo Craxi e Berlusconi la Lega salviniana è divenuta senza dubbio in tal senso il bersaglio privilegiato.
D’altro canto, però, le inchieste su Salvini sono così scopertamente strumentali e ideologiche, così impopolari presso larga parte dell’opinione pubblica anche non schierata, che il saldo tra spada di Damocle processuale e incremento del consenso politico per l’ex ministro degli Interni sarà quasi certamente almeno in pari, se non vantaggioso.
No, il vero problema per Salvini oggi è prettamente di strategia politica: come uscire dalla gabbia che la sua figura pubblica gli ha cucito addosso (anche con grande successo) negli ultimi anni e presentarsi come autentico leader di tutta l’opposizione, credibile capo di un governo alternativo a quello attuale, quando prima o poi gli elettori saranno chiamati finalmente a scegliere?
L’ultimo anno, dalla “crisi del Papeete” in poi, è stato un difficile periodo di prova per l’identità della Lega e di tutto il centrodestra. La crisi della pandemia ne ha acuito i problemi, mostrando impietosamente i limiti di un’opposizione sovranista troppo abituata a suonare sullo spartito solo poche note “securitarie”, facendosi facilmente scavalcare peraltro su quel terreno da una sinistra tanto spregiudicata da saltare disinvoltamente dal globalismo estremo al regime di polizia sanitaria, con forti connotati di Stato etico.
La plateale distorsione creata dallo “stato di emergenza a tempo indeterminato”, la sempre più minacciosa crisi economica creata dalla gestione dissennata e allarmistica della lotta al Covid, le enormi contraddizioni tra le restrizioni imposte ai cittadini e il lassismo, anche sanitario, sull’immigrazione rappresentano certo degli assist di non poco conto per la propaganda delle destre.
Ma tutto questo non basta per configurare una solida alternativa dotata di ragionevoli possibilità di vittoria. Per quello serve qualcosa di più, anzi molto di più. È necessario proporre alla società italiana una visione del futuro fondata sulla crescita, sulla fiducia nelle forze attive e vitali del paese. A tale scopo occorre articolare una critica radicale, a tutto campo, della filosofia di governo demo-grillina, tutta imperniata su un assistenzialismo e statalismo cronicamente recessivi, condotti all’esasperazione nel periodo della crisi sanitaria. Ora più che mai, una destra di governo nel nostro Paese dovrebbe essere caratterizzata dalla proposta di uno choc “ricostituente”, fondato non solo sulla flat tax (unica proposta salviniana utile in tal senso, ma da puntellare e rafforzare), ma su un drastico programma di liberalizzazioni e semplificazioni, e anche di tagli di spesa laddove essi servano a liberare energie per lo sviluppo.
La retorica della difesa dei ceti sociali indeboliti dalla globalizzazione “a trazione cinese” e dallo sterile rigorismo verticistico della Ue è servita a raccogliere e cementare il consenso, ma ora può diventare una zavorra che favorisce ulteriore statalismo, quindi ulteriore deresponsabilizzazione e recessione. Va superata con coraggio, in direzione di una piattaforma di crescita che tenti di riportare l’Italia al suo ruolo di potenza industriale e manifatturiera, a risvegliarne la competitività e le potenzialità produttive.
Per un leader di formazione prettamente sovranista come Salvini non è semplice spostarsi in misura consistente su questo terreno. Ma nel tessuto sociale originario della Lega le forze imprenditoriali e del terziario costituiscono già una componente essenziale, e ora da Nord a Sud c’è un’enorme fascia di produttori messi in ginocchio dal lockdown e dal “madurismo” sanitario che attende una guida per rivendicare una svolta epocale in senso pienamente liberale: sia sul piano del mercato che su quello delle libertà fondamentali dei cittadini contro un potere (nazionale e locale) sempre più invasivo.
Per giunta, ciò che rimane di Forza Italia e del berlusconismo appare oggi totalmente incapace di offrire risposte in tale direzione, e appare perso tra la sudditanza all’Ue merkeliana e manovre parlamentari di piccolo cabotaggio per la propria sopravvivenza.
Si apre uno spazio politico enorme, una prateria sconfinata per i leader della destra, se avranno la convinzione di percorrerla. È qui che Salvini si gioca il suo futuro, molto più che sul tema dell’immigrazione.