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Al Sud non servono solo fondi e sgravi. La lezione del prof. Pirro

Meridione, Regionalismo

Gli sgravi contributivi del 30% sul costo del lavoro concessi alle imprese insediate nel Mezzogiorno nel decreto legge di agosto – peraltro non ancora pubblicato in Gazzetta Ufficiale – costituiscono una misura sicuramente utile, che però assumerebbe valenza strutturale se fosse prolungata nel tempo, perché al momento sarebbe limitata al periodo 1° ottobre – 31 dicembre 2020. Il governo comunque, previo consenso della Commissione europea, vorrebbe prolungarla sino al 2029 sia pure con un décalage nell’agevolazione, ovvero nella misura del 30% sino al 2025, del 20% sino al 2027, e del 10% nel biennio residuo.

Ma un forte rilancio economico dell’Italia meridionale avrebbe bisogno, a nostro avviso, di molte altre risorse il cui impiego peraltro dovrebbe impegnare con formulazioni molto rigide che prevedano anche il loro definanziamento non solo i vari ministeri di spesa, ma anche le Regioni e i Comuni del Mezzogiorno – per quanto di rispettiva competenza – perché non sono rari i casi in cui cospicui finanziamenti stanziati dal governo e dall’Unione europea non si sono poi impiegati, o lo sono stati con grande lentezza, a causa di inefficienze degli apparati amministrativi di molti Enti locali meridionali.

Ad esempio una marcata accelerazione – ovunque possibile e per qualunque tipologia di opere pubbliche realizzabili perché già finanziate – delle loro progettazioni e dei rispettivi appalti sarebbe sicuramente desiderabile, anche prevedendo poteri sostitutivi di Autorità centrali dello Stato rispetto a Regioni, Comuni e Città metropolitane per i fondi loro assegnati. Così come sarebbe auspicabile che non solo le grandi imprese pubbliche (Enel, Eni, Fincantieri, Leonardo, Terna, Ferrovie dello Stato) ma anche quelle private accelerassero gli investimenti programmati nell’Italia meridionale, ottenendo in tempi ristretti tutte le autorizzazioni necessarie da chiunque rilasciate, anche e direi soprattutto in materia di valutazioni di impatto ambientale.

E che dire poi delle vicende del Gruppo Ilva e del suo sito di Taranto che si stanno trascinando oltre ogni limite di sopportabilità da parte dei suoi addetti e delle aziende dell’indotto, anche a causa dei comportamenti fortemente discutibili di Arcelor Mittal e di un esecutivo che non sembra ancora avere assunto una posizione definita in merito al ruolo di azionista di maggioranza dello Stato nella società con i franco indiani?

Ma ancor prima di proporre altri programmi per il Sud da finanziare con le risorse del Recovery Fund – o almeno insieme alla loro stesura e successiva attuazione – perché non si compie, ad esempio, un’accurata ma rapida verifica in sede di ministero dello Sviluppo economico sulle conseguenze che potrebbero produrre per l’industria automotive nell’Italia meridionale le scelte dei nuovi piani industriali di Stellantis, la futura società che nascerà dalla fusione fra il Gruppo Peugeot e quello della Fca? Le notizie circolate negli ultimi giorni secondo cui alcuni modelli della Casa torinese verrebbero prodotti su piattaforme già esistenti della Peugeot, ma non in Italia, con il possibile spostamento delle subforniture da alcune aziende insediate anche nel Sud ad altre di nazionalità francese – scelta industriale peraltro comprensibile nella logica di un nuovo grande gruppo di rango mondiale che andrà ad integrare su scala sovranazionale le attuali fabbriche dei due partner – creano però forti preoccupazioni fra gli addetti ai lavori, perché le supply chain localizzate nel Meridione al servizio non solo dei suoi siti di assemblaggio ma anche di altri stabilimenti nel Nord sono abbastanza diffuse sotto il profilo territoriale e con decine di migliaia di addetti diretti e indiretti.

Insomma, ancora una volta si faccia molta attenzione in sede governativa perché – mentre si progettano nuovi programmi di interventi di varia natura sicuramente necessari nelle regioni meridionali – non si perdano poi le rilevanti capacità produttive che già vi sono insediate e in buona parte delle quali negli ultimi anni si sono investite mediante contratti di sviluppo di Invitalia e contratti di programma della Regione Puglia quote non irrilevanti di risorse pubbliche per ammodernarle e renderle sempre più competitive.

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