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TikTok, WeChat, 5G. Trump cala il sipario sul tech cinese. E l’Italia?

Più che un ultimatum, un avviso di sfratto. Donald Trump vuole mettere al bando TikTok e WeChat, due delle più popolari applicazioni cinesi al mondo. Entro 45 giorni, le aziende americane dovranno cessare ogni rapporto con Bytedance, la società controllante di TikTok, e con la piattaforma di chat in mano al colosso Tencent. Con due ordini esecutivi la Casa Bianca ha calato la scure contro i due campioni tech dell’ex Celeste Impero.

La stretta era attesa, forse non così presto. In queste settimane Microsoft, in raccordo con Pennsylvania Avenue, aveva avviato i contatti per una possibile acquisizione del ramo Usa di TikTok entro il 15 settembre. Obiettivo: processare i dati degli utenti negli Stati Uniti.

Il colpo del governo federale è gia risuonato in borsa dove il titolo di Tencent, quotata a Hong Kong, è crollato di 10 punti percentuali. È solo l’ultima di una raffica di provvedimenti contro il mondo industriale cinese negli States. Giovedì, la stessa Casa Bianca ha chiesto di cancellare dalla lista delle borse americane le società cinesi che non diano ai regolatori statunitensi accesso ai loro conti.

L’accelerazione rischia di avere due effetti immediati. Il primo, sull’escalation nei rapporti con Pechino. WeChat è uno strumento irrinunciabile per le centinaia di migliaia di cinesi che vivono negli Stati Uniti. Senza quell’app, un cellulare è quasi inutilizzabile per un cinese che vive all’estero.

Il secondo: la guerra tech ora entra nel vivo, e chiama in causa gli alleati. Il pressing su TikTok e WeChat rientra nell’iniziativa “Clean newtwork” (network puliti, ndr) lanciata due giorni fa dal Segretario di Stato Mike Pompeo. I dipartimenti di Stato, Commercio e Difesa lavoreranno per limitare la capacità dei fornitori di servizi cloud cinesi di raccogliere e processare dati negli Stati Uniti. Nel mirino, oltre a Huawei, cui il Dipartimento del Commercio ha di fatto tagliato la catena di fornitura vietando la vendita di componenti tech americane da parte di altre società estere (pena incappare nelle sanzioni), ci sono appunto TikTok e WeChat, ma la lista promette di allungarsi.

L’offensiva non rimarrà ristretta ai confini nazionali. Solca linee nette fra alleati e non all’estero, a cominciare dall’Europa. E dimostra che, ad oggi, il tema del 5G e delle reti di telecomunicazioni al sicuro dalle aziende cinesi è in cima all’agenda di politica estera americana. Un campanello d’allarme per chi, ad oggi, ancora tentenna, Italia compresa.

Il pressing diplomatico statunitense si fa sempre più rumoroso, ma non sempre trova sponda nei palazzi istituzionali, anzi. Sul 5G il governo italiano ha optat per una soluzione a metà. La via normativa, quella di un “perimetro cyber” che detti regole e procedure rigorose per fornitori e operatori della rete. Questa settimana ha ricevuto gli applausi del Nis security group Ue. Ma gli intoppi non mancano. A partire dalla realizzazione della complessa architettura di difesa, fra Cvcn (Centri di valutazione e certificazione nazionale) ancora in cerca di tecnici da assumere e il perimetro che procede a tappe rallentate dalla pandemia, ma soprattutto dalla burocrazia.

Una spinta, in Italia come altrove in Europa, è arrivata dal mercato. Da Tim, e quell’annuncio dell’agenzia Reuters (mai smentito dall’azienda) di un mancato invito della cinese Huawei alle gare per la rete 5G (anche in Brasile). Una scelta strategica che parte dai vertici, e dall’ad Luigi Gubitosi, che però non ha ancora trovato una conferma speculare nelle scelte del governo. Fra le maglie del decreto agosto, l’esecutivo dovrà trovare spazio per dettare la linea sulla rete. Sì, ma quale?

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