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Rete unica, Tim e Open Fiber. Parla Tiscar (che propone il modello Terna)

Il gioco della rete unica può riuscire e anche piuttosto bene, ma a precise condizioni. Due board di fine estate, quelli di Tim e Cdp, oggi hanno posato la prima pietra della futura società per la rete unica con cui traghettare definitivamente l’infrastruttura tlc del Paese nel Terzo Millennio. In particolare, l’ex Telecom è stata chiamata a dare un primo disco verde all’intesa tutta politica della scorsa settimana che mira a mettere a sistema la rete dell’ex monopolista con quella di Open Fiber. Punto di partenza e anche un po’ veicolo, è Fibercop, la nascente società che racchiuderà la rete secondaria (il pezzo di rete che va dagli armadietti in strada alle case) dentro la quale figureranno il fondo Usa Kkr e Fastweb, oltre a Cdp, ma solo in un passaggio successivo.

Questo lo schema, ma per raggiungere l’obiettivo e non scontentare nessuno in primis il mercato (Tim ed Enel, azionista al 50% di Open Fiber, sono due società quotate in Borsa), serve un assetto su misura per un’operazione industriale che è e rimane complessa. Una public company, dice a Formiche.net, Raffaele Tiscar, manager delle telecomunicazioni che il mondo delle tlc lo conosce bene visto il passato da vicesegretario generale con delega sulla banda larga a Palazzo Chigi durante il governo Renzi.

Tiscar, il progetto per la rete unica sembra a una svolta dopo anni di stop&go. Però gli attori in campo non sono pochi: Tim, Cdp, Kkr, Fastweb e l’onnipresente mercato. Basterà l’interesse comune-nazionale a garantire l’attuazione del progetto?

Bella domanda. Però la risposta è sì, anche se bisogna vedere come funzionerà questo condominio. Voglio dire, occorrerà capire come e quando si formeranno le maggioranze che determineranno gli investimenti per la rete e quale sia la forma migliore di governance. Detto questo, mi sfugge ancora oggi quale sia la scommessa industriale.

Dotare il Paese in tutti i suoi angoli di un’infrastruttura avanzata e al passo coi tempi è una scommessa industriale non da poco, non le pare?

Bisogna capire quello che si vuole fare, anche perché non dimentichiamoci mai che la governance, qualunque essa sia, riflette la missione industriale che ci si è dati. Io vedo oggi due architetture e tecnologie diverse. E allora bisogna capire quale assetto darsi e questa è un’incognita, Tim e Open Fiber sono due entità distinte tra loro. Le faccio degli esempi. La tencnologia Fiber to the home che sostituisce il rame (Ftth, ndr) la usa solo Open Fiber e non Tim. Inoltre, mentre l’ex Telecom punta alla trasformazione della vecchia infrastruttura in rame in fibra, Open Fiber parte da zero, direttamente con la fibra, dunque time-line diverse. E poi c’è un altro fattore.

Sarebbe?

Se Tim deve conferire la sua infrastruttura, sia secondaria sia primaria, in una società nuova, tali asset devono essere messi a frutto. Ma questo non coincide con la valorizzazione dell’infrastruttura messa in atto da Open Fiber. E allora, ecco la terza questione, la rete di Tim non può essere messa in Fibercop solo per poi essere spenta o depauperata, perché questo ne azzererebbe il valore con riflessi sul debito. Però come ho detto, mettere queste due realtà, Tim e Open Fiber, a fattor comune da un punto di vista industriale e non solo a parole, non è impossibile. Basta solo trovare un equilibrio e un equilibrio c’è.

Un assetto in grado di garantire la riuscita del tutto esiste, allora. Quale?

Innanzitutto deve essere un equilibrio che deve dare reddito ai partecipanti, ma questo è pacifico, nessuno fa niente gratis. Poi bisogna capire che tipo di infrastruttura vogliamo fare e su quello calibrare le partecipazioni nella nuova società. E vengo al punto. C’è un modello che permetterebbe a mio giudizio di assicurare la tenuta del progetto, garantendo lo sviluppo e l’avanzamento dello stesso, il modello Terna, che ricalca un po’ quello della public company. Dove cioè c’è un controllo relativo della società da parte del pubblico, ma dinnanzi a un azionariato molto frammentato e per giunta collocato in Borsa che garantisce una vigilanza da parte del mercato.

Scusi se insisto, ma perché un tale assetto o modello potrebbe funzionare e fare al caso della società per la rete unica?

Perché solitamente questo assetto si basa su una filosofia e cioè che l’infrastruttura è al servizio del Paese e non al servizio degli azionisti. I quali hanno tutto l’interesse affinché l’infrastruttura venga utilizzata, servendo il Paese, visto che essi, cioè i soci, guadagnano in base allo stesso uso dell’infrastruttura. In questo modo può funzionare tutto il progetto.

L’operazione che si va profilando è forse la più importante per Tim negli ultimi anni, sicuramente dell’era Gubitosi. Lei è d’accordo? 

Diciamo una cosa: Telecom deve risolvere un problema, recuperare il valore storico della sua rete, che in tempi non sospetti fu sopravvalutata. Questa è la sfida di Gubitosi.

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