A Portland, in Oregon, un uomo è stato ucciso durante una sparatoria avvenuta intorno alle otto di sera di sabato 29 agosto, più o meno mentre in città passava un corteo automobilistico dei sostenitori del presidente e candidato repubblicano per le elezioni Usa2020, Donald Trump. Ci sono video e immagini, ma ancora molti lati bui sulla vicenda: l’uomo cade a terra – probabilmente colpito da uno o forse più proiettili – in un parcheggio; indossava un cappellino dei Patriot Prayer, un gruppo cittadino di estrema destra che si ispira anche a principi radicali cristiani. I Patriot Prayer sono sostenitori trumpiani e più volte si sono scontrati con le frange estremiste che hanno inquinato il movimento Black Lives Matter – quello che chiede rispetto per gli afroamericani e in generale contro il razzismo. Trump ha già accusato gli AntiFa (un gruppo radicale di sinistra che ha fomentato violenze durante le manifestazioni dei BLM) dell’assassinio.
Sabato scorso, dopo che da maggio Portland e l’Oregon sono alcuni dei luoghi più vivi per le proteste dei BLM per via dell’uccisione di George Floyd da parte della polizia, c’erano stati scontri con i sostenitori trumpiani (a Clackamas, poco fuori città). L’uccisione dell’uomo a Portland – in un luogo in cui il corteo non doveva passare – non è chiaro se sia legata (o in che modo) alle proteste che da mesi infiammano il tessuto sociale statunitense, ma certamente si inserisce in una scia di violenze. Durante questa settimana, a Kenosha (nel Wisconsin) – dove un afroamericano disarmato è stato colpito alle spalle da sette colpi di pistola di un agente –, un diciassettenne ha sparato contro i cittadini che manifestavano.
Nel caso di Kenosha, l‘aggressore (attentatore?) era un ragazzo ultra-conservatore dell’Illinois, arrivato in Wisconsin armato di un fucile d’assalto AR15 per supportare le milizie di destra che si sono intestate la sicurezza della città – e con cui in alcuni casi la polizia ha collaborato. In questi mesi la presenza di armi durante i cortei è stata via via maggiore. Le portano con sé alcuni appartenenti a una milizia di sinistra, è una costante per le squadracce dell’alt-right. Sabato a Portland gli organizzatori del corte automobilistico pro-Trump avevano incoraggiato i partecipanti a venire attrezzati, ma nascondendo le armi proprie o improprie se possibile (di solito invece viene fatto sfoggio di pistole e fucili automatici: come fosse un certo genere di forma di successo sociale, gara sul chi ne ha di più sofisticate).
È evidente che l’essere armati quando si unisce all’iper-polarizzazione del contesto socio-politico americano può produrre situazioni estreme. “Certamente, era attesa e prevedibile questa crescita esponenziale delle tensioni e il rischio concreto di una deriva violenta”, commenta con Formiche.net Mario Del Pero, professore di Storia internazionale alla prestigiosa SciencesPo di Parigi ed esperto del contesto statunitense. “Una deriva – continua – nella quale convergono diversi fattori, strutturali (di contesto) e contingenti (legati allo specifico di questo 2020)”.
Quali sono questi fattori? “Tra i primi: i livelli di polarizzazione, politica, culturale, verrebbe voglia di dire identitaria, senza precedenti; i mille elementi che esasperano fratture e divisioni, a partire ovviamente dalla diseguaglianza; la lunga ombra della crisi del 2008 e di quel che ha rilevato rispetto a una globalizzazione che ha danneggiato un pezzo di America, indebolito la sua middle class e alimentato paure, rabbia e risentimento; un processo di delegittimazione tra le due parti politiche che trasforma l’avversario in nemico e, nella narrazione che abbiamo visto alle due convention, in un pericolo per la democrazia”, spiega il professore.
Tra i fattori contingenti secondo l’analisi di Del Pero vi è invece “il terrificante combinato disposto della crisi sanitaria, di quella economica e di un anno elettorale che esaspera ed amplifica lo scontro e la polarizzazione. Su tutto aleggia l’inadeguatezza, patente e quasi caricaturale, del Presidente Trump”. Sembra come se quelle fratture esistenti all’interno del tessuto sociale statunitense si siano approfondite o allargate con la sua presidenza: è una percezione? “Credo proprio di no, Trump alimenta e acuisce queste fratture. A lui manca quella basilare cultura politica e istituzionale necessaria per promuovere uno sforzo, oggi davvero immane, di sanare divisioni e tensioni; anzi getta benzina sul fuoco, con l’obiettivo (finanche dichiarato) di sfruttare elettoralmente il legittimo desiderio di ripristinare legge e ordine”.
Le mille fratture e divisioni dell’America d’oggi sono pre-trumpiane per così dire, ma Trump le ha sfruttate per la sua ascesa politica e, appunto, le cavalca spregiudicatamente. E sull’altro lato politico, i Dems? “Joe Biden e i democratici – spiega Del Pero – si trovano in una condizione politicamente molto difficile: devono denunciare le violenze poliziesche, e il sostrato razzista che spesso le produce, senza giustificare i disordini o apparire pregiudizialmente ostili alle forze dell’ordine; devono sostenere le rivendicazioni di BLM senza essere indulgenti verso le frange più radicali del movimento; e non possono permettersi di alienare un segmento elettorale”.
“Per semplificare molto – spiega il docente di SciencesPo – le cosiddette ‘soccer moms‘ della suburbia, moderate politicamente e culturalmente ma spinte verso i Dems (come abbiamo visto al mid-term del 2018) dalla misoginia, dalla volgarità, dal razzismo e, appunto, dall’inadeguatezza di Trump. Saranno cruciali per il 3 novembre”, ossia per le elezioni presidenziali.