Grazie alla Turchia (e non solo), i Paesi mediterranei rivieraschi (segnatamente nell’area centro-orientale) si sono spesso trovati in un mare di guai. Ne era ben consapevole Venezia, che per contenere in qualche modo lo strapotere marittimo sviluppato dall’Impero Ottomano dopo la caduta di Costantinopoli, assieme a Genova aderiva a quella Lega Santa voluta da Pio V che, nel 1571, sconfiggeva la flotta turca nella battaglia di Lepanto. Successo importante ma effimero, perché in seguito la pervicacia ottomana ebbe buon gioco nell’espandersi anche via terra, appropriandosi di molti possedimenti oltremare di Genova e, soprattutto, di Venezia. Gli eventi cui oggi assistiamo possono ben rientrare nelle cronache del déjà vu.
Infatti, come fanno sempre tutti i dittatori in pectore, anche Recep Tayyp Erdogan cerca di stimolare i sentimenti patriottici dei “sudditi” citando eventi storici, come ha fatto qualche giorno fa ricordando con toni enfatici una battaglia del 1071, vinta dagli allora turchi selgiuchidi contro l’armata bizantina. “Non scenderemo a compromessi con la Grecia – ha ripetuto in quell’occasione – ma siamo determinati a fare tutto il necessario per ottenere i nostri diritti in Egeo, nel Mar Nero ed in Mediterraneo”. Questa volta i mediatori sono già all’opera, ma quando si alimentano i sentimenti popolari e contemporaneamente si gioca con le armi, qualche rischio di escalation non si può mai escludere. Soprattutto quando l’economia va male e la finanza ancora peggio (la lira turca sta toccando l’abisso), è necessario acquisire risorse pregiate presto ed in qualsiasi modo.
La Germania, impegnata da sempre ad inseguire i mercati, in politica estera aveva sinora vissuto traccheggiando tra astensioni e amicizie di comodo. In questa occasione sta tentando di mediare: negli ultimi tempi, in previsione e con l’occasione del semestre europeo, è improvvisamente diventata piuttosto propositiva. Testimonianza ne sono le proposte di finanziamento per far fronte ai danni Covid-19 nella Ue e le due riunioni “informali” di Berlino con i ministri della difesa e degli esteri. Si è parlato molto di Bielorussia (lanciando diffide con rispostacce di Putin) ed esortazioni a comporre la vertenza greco-turca (guadagnandosi le risposte stizzite di Erdogan). Di mediazione efficace, per ora, non se ne può ancora parlare. Nessuno vuole o può sparare, nemmeno le due contendenti visibili, ma per il momento nessuna delle due cederà.
Solo il tempo e la pazienza – sperando non si consumino troppo velocemente – potrebbero compiere il miracolo, perché i contendenti da tranquillizzare e convincere non sono solo due (quelli palesi), ma i fattori in giuoco sono molteplici.
In primo luogo, questa crisi non va assolutamente considerata come l’abituale schermaglia tra Grecia e Turchia: è decisamente qualcosa di più. Di fronte Ankara non ha solo Atene. Questa volta di trovarsi (quasi) compatta tutta l’Europa, la quale, pur se la Troika di recente ha malamente bistrattato la Grecia, da sempre la sente molto più vicina di quanto avverta la Turchia, tenuta alla porta persino negli anni precedenti l’imperioso avvento di Erdogan. Poi c’è la Francia, che pur di far concorrenza “mediterranea” agli Usa (sinora beneficiati da Atene con disponibilità di porti e aeroporti), nella disputa contro la Turchia sostiene la Grecia a viso aperto. Donald Trump, che nel momento elettorale non vuole fratture nella Nato, ha chiamato al telefono (non si sa con quale successo) entrambi i contendenti. Il rapporto speciale tra Ankara-Mosca, che tendono a fare i primi attori in Mediterraneo e Nordafrica, certamente gli è indigesto.
Ne scaturisce che i margini di mediazione ci sono, ma, per quanto ufficialmente sia la Germania a condurre le danze, molti ballerini continueranno a sbagliare il tempo, pestandosi i piedi a vicenda.
L’Italia in teoria dovrebbe essere soddisfatta, perché finalmente da nord ci si interessa all’area sud. Persino la Nato (il segretario generale si è recato di persona alle conferenze di Berlino e ha avuto un lungo colloquio con la Cancelliera), pur evitando di sbilanciarsi troppo tra Grecia e Turchia, esorta entrambe a mantenere la calma. Purtroppo noi, in tutt’alto affaccendati, abbiamo perso il passo ancora prima che l’orchestra aprisse le danze, e, fingendo di intervenire, ci siamo poco elegantemente defilati. Ricordiamo tutti quando, nel febbraio 2018, la nave Saipem 12000 dell’Eni era stata fatta allontanare dall’area di ricerca concordata con il legittimo governo di Cipro da navi da guerra turche, sotto gli occhi di nave Zeffiro della nostra Marina. Non sarà stato bello, ma sicuramente, allora, abbiamo fatto la cosa più saggia.
Oggi, con la Germania alla guida, le condizioni che abbiamo tanto atteso si stanno concretizzando. Dobbiamo quindi affrettarci a cercare un ritaglio di ruolo nel Mediterraneo, pur sapendo già in partenza che non potrà più essere da primo attore. Nella pratica, il ritorno della nostra Marina in Egeo con il caccia Durand de la Penne per partecipare ad un’esercitazione assieme a navi cipriote, greche e francesi è un primo piccolo passo, sebbene avvenga dopo aver condiviso una missione minore (una passex, evento occasionale a breve preavviso) con la marina turca. Ben fatto, visto che non siamo nemici di nessuno, nemmeno dei nostri alleati (vietato sorridere, è successo). È molto eccitante fare parte di un’alleanza formata da un blocco granitico di Paesi con interessi variamente diversificati, quasi sempre divergenti dai nostri. Per noi è una vocazione, per altri, come Francia e Turchia, questa sembrerebbe prassi distintiva. Il seguito alla prossima puntata…