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Più pressione sull’Iran. Così l’Onu aiuta il regime di Teheran e dispiace agli Usa

Come prevedibile, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha respinto una risoluzione in cui gli Stati Uniti proponevano il rinnovo dell’embargo militare all’Iran. La misura restrittiva è in piedi dal 2007 e, secondo l’accordo sul congelamento del programma nucleare Jcpoa, dovrebbe decadere quest’anno a ottobre. Per Washington, che è unilateralmente uscita dal Jcpoa a maggio 2018 cercando di minare l’intera architettura dell’intesa, l’Iran non è ancora pronto a vedersi sboccata la vendita di armamenti in quanto è una nazione che finanzia gruppi combattenti sciiti che hanno compiuto azioni terroristiche (per esempio i libanesi di Hezbollah).

In realtà c’è di più: gli Stati Uniti hanno da tempo alzato un regime di “massima pressione” contro l’Iran perché lo ritengono un egemone non-controllabile che ha interessi di muovere le dinamiche  regionali in Medio Oriente accavallandosi alla sfera d’influenza regionale statunitense. Il CdS dell’Onu è stato “incapace di agire con decisione in difesa della pace e della sicurezza internazionale”, ha detto in una dichiarazione il segretario di Stato statunitense, Mike Pompeo, che ha definito “imperdonabile” il voto — schiaffo in sede onusiana contro la diplomazia americana.

“Continueremo il nostro lavoro“, promette Pompeo, per ricordare che la strada per l’eliminazione dell’embargo potrebbe avere altre deviazioni. Ma è evidente quello che va registrato: il voto, fa notare il Washington Post, “è stato un secco ripudio della strategia della massima pressione”. Nonostante la risoluzione fosse stata limata per renderla più accettabile, solo la Repubblica Domenicana ha votato a favore. Cina e Russia, potenze rivali statunitensi interessate all’Iran, hanno votato contro e non hanno dovuto nemmeno esercitare il diritto di veto (come membri permanenti del CdS) perché altri undici paesi, tra cui Regno Unito, Francia e Germania, si sono astenuti dando via libera al risultato negativo.

Il punto è che — al di là degli intenti velenosi di Pechino e Mosca — l’Onu e la maggior parte dei membri del CdS condivide le preoccupazioni ma vuol tenere in vita il Jcpoa. Cosa che la risoluzione avrebbe affondato. Ma Washington, come detto da Pompeo non mollerà. Potrà introdurre nuove sanzioni e stringere ancora di più la cinghia sull’Iran (con cui comunque il preside Donald Trump ha annunciato nuovamente la possibilità di fare un accordo). Per esempio, mentre si votava all’Onu, il dipartimento di Giustizia Usa ha annunciato il sequestro di quattro navi iraniane dirette a vendere petrolio in Venezuela: si tratta di un carico da 1.1 milioni di barili, che sarà confiscato dalle autorità di Houston sulla base di un ordine emesso da un tribunale federale a inizio luglio. Pompeo, che era a  Vienna (teatro dei negoziati sul Jcpoa), ha incontrato anche Rafael Grossi — il direttore della Aiea, l’agenzia per l’energia atomica, annunciandogli che gli Usa utilizzeranno ogni pezzo delloro “kit diplomatico” per fermare l’Iran.

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