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Dal vaccino al plasma, il virus della politica e il metodo della scienza

Qualche giorno fa, il British Medical Journal ha pubblicato un editoriale dal titolo: “Covid-19: Less haste, more safety”. L’articolo ammoniva sulla pericolosità di fare in fretta nell’approvare un vaccino anti-Covid-19 senza attendere i tempi necessari della scienza.  Certo è importante avere un antidoto contro questo devastante virus e averlo presto, ma la scienza e la ricerca richiedono tempi e prove necessarie per evitare danni peggiori del rimedio. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha prodotto delle linee guida sulle caratteristiche minime che un vaccino deve possedere prima di essere inoculato alla popolazione: a) un’efficacia del 50%; b) una stabilità accertata; c) prove concrete comparative tra i diversi prototipi. La fretta potrebbe produrre effetti del tipo: poco è meglio di niente. Ma questo è sbagliato. A cosa ci porterebbe? Ad avere vaccini e farmaci capaci magari di ridurre la gravità della malattia – ma non di prevenirla – fornendo un’immunità di breve durata e, nella migliore delle ipotesi, piccoli segnali di miglioramenti terapeutici. Col risultato di offrire ai malati un  trattamento cronico non ottimale: soluzione positiva  dal punto di vista economico, ma quantomeno dannosa per la salute pubblica globale.

La F.D.A. ha approvato, ieri, il trattamento che prevede l’utilizzo del plasma dei guariti, ricco di anticorpi, da somministrare  a pazienti ospedalizzati con coronavirus. Su forti pressioni dell’amministrazione americana, dicono i bene informati. In una conferenza stampa, lo stesso presidente Trump ha descritto il trattamento con il plasma dei convalescenti come “una potente terapia”, messa a disposizione dal governo federale.

Con il termine plasma “immunitario” (convalescente) ci si riferisce a quel plasma che viene raccolto da soggetti esposti al virus e che hanno sviluppato anticorpi in seguito alla risoluzione dell’infezione. La somministrazione passiva di questi anticorpi attraverso la trasfusione di plasma convalescente può costituire una strategia a breve termine che ha lo scopo di conferire l’immunità immediata a soggetti sensibili. Il plasma convalescente è stato usato in passato con successo come profilassi post-esposizione e nel trattamento terapeutico di altri focolai da coronavirus (ad esempio, Sars-1 e la sindrome respiratoria del Medio Oriente [Mers]) e altre patologie infiammatorie autoimmuni e croniche, come dermatomiosite, malattia di Kawasaki, sclerosi multipla, lupus, leucemia linfocitica cronica e porpora trombocitopenica idiopatica). Sono state già segnalate esperienze cliniche di trattamento del Covid-19 con plasmaterapia in almeno 70.000 pazienti. La stessa F.D.A. ne ha riportato i benefici soltanto per alcuni pazienti e dichiarato che è necessario attendere ulteriori studi e sperimentazioni.

I dati provenienti da studi clinici rigorosamente controllati (pochi, al momento), sottolineano la necessità di valutare ulteriormente in modo obiettivo e su casistiche estese l’efficacia in termini di prevenzione vs. trattamento e la correlazione con sottopopolazioni di pazienti stratificati per età, comorbidità e altre condizioni particolari.  Vi è anche, ancora, incertezza sui criteri di eleggibilità dei donatori. Non è ancora definito se tra i criteri debbano essere anche incluse le sottoclassi totali di anticorpi presenti nel soggetto (ad esempio, IgM, IgG o IgA) ovvero quale sia il dosaggio ottimale di questi e quale antigene virale sia più informativo. Inoltre, tra le implicazioni biologiche vengono incluse le infezioni secondarie da altri virus (rischio ridotto ma non nullo), reazioni immuni a costituenti del siero, edema polmonare. Quest’ultimo può essere causato da alterata permeabilità (transfusion-related acute lung injury – TRALI) con meccanismo immuno-mediato o di tipo idrostatico (transfusion-associated circulatory overload – TACO).  A questi si aggiungono rischi (rari, ma non troppo) legati all’aumento dell’infezione dipendente da anticorpi (ADE), un processo per cui anticorpi virus-specifici aumentano e facilitano l’ingresso del virus nella cellula; e attenuano risposta immunitaria ovvero, gli individui potrebbero essere soggetti ad una reinfezione (evitabile se disponessimo di un vaccino).

Inoltre, il plasma non può essere prodotto in milioni di dosi; la sua disponibilità è limitata dalle donazioni di sangue. La terapia con plasma convalescente necessita di valutazioni accurate che riguardano non solo gli aspetti biologici, ma anche quelli burocratici, logistici ed amministrativi per l’identificazione, il consenso, la raccolta e la verifica dei donatori (non tutti i pazienti guariti hanno anticorpi rivelabili nella fase convalescente). Per queste ragioni, il direttore dell’N.I.H., il prof. Francis Collins e il Prof. Antony Fauci hanno chiesto all’F.D.A. ulteriori verifiche prima di rilasciare l’autorizzazione all’impiego di massa. Ma l’annuncio di domenica da parte dell’F.D.A., ha esacerbato le preoccupazioni di alcuni consulenti del governo americano e altri esperti esterni che hanno sottolineato come le esigenze politiche potessero minare l’integrità del processo di regolamentazione dei farmaci, danneggiare la fiducia del pubblico nella sicurezza dei farmaci e produrre rischi non ben quantificati per la salute pubblica. Ne è scaturita una bagarre politica, con i democratici che accusano il presidente Trump di fare solo propaganda elettorale analogamente a quanto ha fatto il presidente Putin in Russia per aver dichiarato di aver prodotto un vaccino ancora sperimentale e senza che la necessaria e obbligatoria fase 3 sia stata conclusa.

Non è bello, né utile quando la scienza viene strumentalizzata dalla politica: le tifoserie che ne scaturiscono non aiutano il progresso in campo medico, né favoriscono lo sviluppo della ricerca. Strumentalizzazioni di questo tipo conducono alla creazione di una “nebulosa informativa”, che non permette di vedere le cose in modo razionale e scientifico. Indossare simili paraocchi potrebbe portare a danni considerevoli, basti pensare al genetista Lysenko che con le sue teorie pseudoscientifiche sostenute dal governo sovietico impedì lo sviluppo delle genetica in Russia per oltre 30 anni. Ora, è chiaro, è impossibile separare la scienza dalla politica, in quanto la scienza ha bisogno della politica e la politica ha bisogno della scienza. La scienza è stata collegata alla politica della società dal momento in cui la prima persona ha pensato che fosse utile fare ricerca, e poi ha convinto altri a versare denaro allo scopo. Ma nella scienza esiste il metodo scientifico, ben distinto dal fare scienza o fare politica della scienza. Il metodo scientifico non può essere in alcun modo utilizzato da un partito o da un altro. Noi possiamo e anzi dobbiamo utilizzare il metodo scientifico per ridurre al minimo i pregiudizi e massimizzare l’obiettività. Questo è il comportamento razionale e imparziale che chiunque, nel proprio ruolo, dovrebbe adottare. La ricerca scientifica e la pratica medica contribuiranno alla lotta contro il SARS COV-2 e altre gravi minacce alla salute con informazioni essenziali e, si spera, trattamenti, vaccini insieme a nuove intuizioni biologiche, epidemiologiche, mediche e di altro tipo sempre ed esclusivamente attraverso il metodo scientifico.

Il nostro dovere di cittadini-scienziati, affinché un fruttuoso equilibrio possa essere trovato, è chiedere alla classe politica di utilizzare il metodo scientifico anche quando si prendono le piccole e grandi decisioni con un impatto sulla vita pubblica. Ciò che da osservatori e analisti, purtroppo, si rileva, è che spesso molte organizzazioni internazionali, anche rilevanti, sul fronte Covid-19 hanno ceduto spesso alla politica, e messo da parte il metodo scientifico. Questo sembra essere un grave errore, dalle conseguenze non del tutto prevedibili. La crisi che stiamo vivendo ci impone di mantenere la barra dritta, non abdicare al ruolo della scienza, non temere decisioni impopolari e contribuire davvero al benessere di tutti.


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