“La sovranità non può essere rappresentata per la medesima ragione per cui non può essere alienata; essa consiste essenzialmente nella volontà generale, e la volontà non si rappresenta”.
In questa famosa frase del Contratto sociale c’è tutta la propensione di Rousseau per la democrazia diretta. Quella della Antica Grecia, dove tutti partecipavano direttamente.
Forse la vera democraiza diretta non è mai esistita. Tanto che ad Atene non votavano certo tutti: nemmeno Aristotele aveva mai pensato che donne, stranieri e schiavi potessero partecipare alla Assemblea. Del resto nei grandi Stati la democrazia diretta non può che essere residuale. “Il popolo faccia mediante i suoi rappresentanti ciò che non può fare da sé”, ci ha insegnato Montesquieu.
Allora, Montesquieu o Rousseau?
Forse vi chiederete cosa c’entra questo “ripassone” di filosofia della politica con il referendum costituzionale che ci aspetta fra due settimane. C’entra, perché in fondo siamo chiamati a scegliere se vogliamo un parlamento più o meno rappresentativo.
I nostri Costituenti si erano preoccupati della adeguata rappresentatività del Parlamento, scegliendo un numero variabile di onorevoli. L’art. 56 prevedeva “un deputato per ottantamila abitanti o per frazione superiore a quarantamila” e l’art. 57 l’attribuzione di “un senatore per duecentomila abitanti o per frazione superiore a centomila”. L’attuale numero fisso è stato introdotto soltanto nel 1963, con una proporzione anche superiore alla popolazione italiana di allora.
Ora invece la proposta di modifica costituzionale al voto quasi dimezza il numero dei nostri rappresentanti.
Votare “si” a questa riforma significa contestare il metodo di Montesquieu. Lasciando che il Parlamento ci rappresenti meno. Ma purtroppo oggi siamo ancora più lontani da un recupero della democrazia diretta, in questa società liquidamente dispersa nei nuovi mezzi di comunicazione.
In attesa della prossima democrazia digitale, forse è meglio conservare la attuale rappresentanza in Parlamento, allora.