Non importa cosa sia accaduto al Parlamento nella maggioranza sulla vicenda dei servizi segreti (tanto, al di là del tema, nessuno ci ha capito granché). Non rileva più la scomparsa mediatica di Conte su cui parecchi si interrogano e che appare, in questa difficile fase, indice di una fase di fragilità politica. Non conta più ogni altra news politica, quando giunge, alle sette della sera del 2 settembre 2020, l’informazione della positività al Covid-19 di Silvio Berlusconi.
Immediatamente questa notizia sulla salute di un europarlamentare italiano diventa qualcosa di più della notizia del giorno: si trasforma nella spia di emergenza di una società e di un sistema dell’informazione ormai completamente concentrati sulla dimensione sanitaria individuale e collettiva. La positività al Covid 19 di Berlusconi ingloba e supera ogni altra notizia, per il suo impatto su tutti, fan o detrattori politici del Cavaliere. È la notizia che rivela, molto di più di analisi e trattati, la natura della fragile fase che stiamo vivendo dopo la fine del lockdown e l’inizio della convivenza con il virus. Se è capitato di ammalarsi a Berlusconi, che vive tra residenze, auto e aerei privati ed è esposto a contatti esclusivi con esponenti politici ed istituzionali e manager, il Covid-19 è l’ultima cosa democratica e certa rimasta. La notizia restituisce questo spirito del tempo, oltre che l’inconsistenza dell’ iper-sanitarizzazione del tempo in cui viviamo. Essa suggerisce al nostro io più profondo e impaurito la riflessione sulla necessità di con-vivere con il virus, pur prendendo tutte le possibili precauzioni. La condizione sanitaria di Berlusconi quindi ci parla della nostra condizione, sanitaria e psicologica, di fronte a un virus che ha cambiato, e profondamente, le vite di tutti.
Ma la positività di Berlusconi al coronavirus è centrale per riportare la tendenza culturale predominante nel nostro tempo anche per quel che concerne la ricezione della notizia. All’annuncio, i social network si sono schierati in reazioni manichee, tra il formalismo di esponenti politici (quasi) unanimi nell’augurare pronta guarigione a Berlusconi e lo sfogatoio di chi, spesso in modo anonimo, ha espresso auspici di direzione opposta. La riduzione della notizia ad un hashtag (“Berluscovid”) e la trasformazione in mille meme, la possibilità di manifestare messaggi deliberatamente ostili e provocatori, le contese tra fazioni virtuali a favore o contro la figura politica di Berlusconi sono tutti segnali della circostanza che no, non è andato tutto bene e che non ne siamo usciti migliori.
Se dopo aver sperimentato l’immagine della paura, del dolore, della solitudine e delle morti in massa, siamo ancora qui, al riparo delle bolle social, pronti ad augurare mali indicibili al prossimo, vuol dire che il problema risiede nel modo in cui i social danno voce al peggio di un sistema sociale saturo di rabbia e reattivo a parole di fronte ad una tastiera più che nel mondo che non va. I tempi difficili che ci aspettano devono partire da una considerazione seria e attenta di questo humus fondo e incensurato che i social ci rimandano, non già per censurarlo, ma per trovare rimedi e soluzioni al clima difficile che regna, non dal 2020, nel Paese.
Parlare di come gestire questo aspetto del nostro tempo, rivelato una volta di più dalle informazioni sulla salute di Silvio Berlusconi, è l’occasione per un ritorno ad una politica più autentica, meno concentrata su dotazioni e formati delle policy e più attenta a valutare situazione di partenza e impatto atteso e misurato dei provvedimenti chiamati a far emergere il Paese dalla crisi.