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Com’è andata la prima campagna elettorale post-Covid. L’analisi di Antonucci

Volge al termine la prima campagna elettorale post-Covid-19, quella per il referendum confermativo sulla riforma del taglio dei parlamentari, per le regionali in sette Regioni Veneto, Campania, Toscana, Liguria, Marche, Puglia e Valle d’Aosta e per la tornata delle amministrative di mille comuni (di cui 15 capoluoghi di provincia e 3 di regione: Venezia, Trento, Bolzano). È tempo di un provare a tracciare primo bilancio, politico e comunicativo, della nuova modalità di fare campagna elettorale dopo lockdown e ancora in fase di emergenza da pandemia.

In termini politici, la campagna elettorale ha evidenziato tutte le debolezze delle forze partitiche di fronte alla difficilissima situazione dovuta alla pandemia e alle sue conseguenze economiche e sociali. I partiti dell’esecutivo, M5S, Pd, IV, scontano alcuni elementi della difficile ripresa dovuti all’azione del governo: l’incertezza sulla proroga del pagamento delle tasse, lo stop-and-go sulla riapertura delle discoteche, la tormentata fase di inizio delle scuole, le molteplici questioni legate al lavoro, le difficoltà legate ai trasporti.

Inoltre, l’incapacità di trasformare l’alleanza di governo in molteplici esperienze di coalizione sui territori sembra aver amplificato le difficoltà per i partiti di maggioranza, che, anche in situazioni di normalità, si sarebbero trovati ad espiare le contrarietà dell’opinione pubblica su azioni e interventi legati all’azione del governo. L’immagine di una coalizione nazionale che non “scende” nella realtà politica di regioni e comuni, preferendo competere anziché cooperare, tende a scoraggiare l’elettorato del voto di opinione, mettendo in difficoltà, talvolta, anche l’elettorato legato al voto di appartenenza.

Ed ecco spiegata la centralità della questione referendaria nella campagna elettorale dei partiti di governo, i cui esponenti si sono espressi molto più spesso (e volentieri) sulle motivazioni a sostegno del taglio lineare del numero dei parlamentari piuttosto che sulle candidature regionali. Valorizzare la probabile (anche se non auspicabile) vittoria del Sì al referendum per evitare di doversi confrontare con le difficoltà politiche emergenti dalla linea scelta nelle elezioni nelle regioni e nei comuni diventa la strategia di bassa resistenza delle forze di governo.

Si può tuttavia registrare una debolezza di segno uguale e contrario anche all’interno delle forze partitiche di opposizione. La divisione sulla posizione comune al referendum istituzionale (con FI a favore del No, mentre Lega e FdI sostengono le posizioni del Sì, programmando una facile gestione della maggioranza parlamentare nelle prossima legislatura), le competizioni per la leadership del campo politico tra Meloni e Salvini e le frizioni interne alla Lega hanno ridotto il complessivo potenziale elettorale del centro-destra, persino di più delle difficoltà di salute – e della conseguente assenza dalla campagna elettorale – di Berlusconi ammalato di Covid-19.

La conseguente scelta di campagna elettorale, nella frammentazione interna del campo conservatore a livello nazionale, è stata verso il ripiegamento sulle campagne elettorali regionali e amministrative, intese come tentativo di “spallata” al governo mediante la politicizzazione delle elezioni territoriali. Anche in questo caso, si tratta di un approccio, oltre che sistematicamente poco corretto, rivelatore di una certa debolezza dell’opposizione. Nel centro destra sembra carente l’idea di futuro della coalizione, a causa dell’incertezza sulla leadership nazionale e in ragione dei dissensi interni alla coalizione su questioni rilevanti, quali il ruolo del Parlamento e le funzioni dei parlamentari.

In termini comunicativi, la campagna elettorale ha manifestato qualche discontinuità. In primo luogo si è trattato di differenze legate al difficile contesto: distanziamento sociale, selfie ottenuti al prezzo di una mascherina alzata sul visto in fretta, a costo di richiami da parte dei presenti (subito) e dei mass media (successivamente), incontri senza strette di mano e fine dei comizi e degli incontri itineranti aperti alle masse. Il Covid19 ha riscritto le regole sintattiche delle campagne elettorali in presenza molto di più di quanto abbiano fatto altri fattori tecnologici recenti, che pure hanno avuto un impatto considerevole su questa attività di comunicazione elettorale.

Ma è stato possibile individuare discontinuità anche nel tono di voce dei leader che, in passato, maggiormente alzavano i toni della competizione elettorale. La campagna elettorale di due esponenti populisti (uno all’opposizione, uno al governo) come Salvini e Di Maio, al di là delle molte tappe, ha assunto toni meno gridati e conflittuali, soprattutto laddove si comprendeva come l’impatto fortissimo del Covid-19 e delle sue conseguenze sull’opinione pubblica italiana avrebbe reso meno comprensibili flame e liti su questioni elettorali. In questo senso, la rimodulazione di toni e la selezione di argomentazioni meno dichiaratamente strumentali per attaccare le posizioni degli avversari politici è uno degli esigui aspetti comunicativi positivi in questa fase difficilissima.

Non resta che valutare come, a fronte delle questioni politiche e comunicative evidenziate, il voto del 20 e 21 settembre ci restituisca l’orientamento dell’opinione pubblica sulle forze partitiche e sul referendum elettorale. L’unica circostanza che non muterà di certo, nemmeno in questa fase inaspettata, sarà la teoria di esponenti politici nazionali, di primo o secondo piano, che al termine dello spoglio di referendum e consultazioni regionali, andrà in diretta tv a dire di aver vinto.



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