È stato un errore mescolare elezioni regionali e referendum. Lo pensa il presidente di Centro Democratico Bruno Tabacci che, partendo dalle ragioni del no, analizza lo stato dell’arte nella maggioranza, l’utilizzo del Mes e la congiuntura del governo rapportata alle nuove sfide che lo attendono (anche a Bruxelles). Formiche.net lo ha sentito al termine dell’audizione in Banca d’Italia.
“Non possiamo sbagliare – ha detto Zingaretti in Direzione -. Non è in gioco un’alleanza di governo, ma la tenuta della Nazione per i prossimi anni”. Allora perché il governo preoccupa anche la stessa maggioranza tra regionali e referendum?
Intanto registro che l’abbinamento regionali e taglio dei parlamentari si è rivelato disastroso, perché avere messo sullo stesso piano una consultazione amministrativa con un referendum confermativo di questa portata ha impedito che la campagna elettorale si svolgesse in maniera adeguata dal punto di vista dell’informazione ai cittadini. Prova ne è il fatto che, volendo dare credito ai rilievi del prof. D’Alimonte, il no ha avuto un risveglio che sembrava impensabile fino a qualche tempo fa.
Sarà sufficiente?
Sono uno dei 14 parlamentari a non aver votato, perché ho ritenuto che quel passaggio fosse privo di una visione di carattere complessivo. Essa, di contro, richiedeva che accanto al taglio dei parlamentari vi fosse il superamento del bicameralismo perfetto, accanto ad una serie di modifiche legislative circa la rappresentanza dei delegati regionali, senza dimenticare la questione dei regolamenti parlamentari e della legge elettorale. Non basta dire che il Parlamento funzionerà anche con 400 deputati e 200 senatori, ma in un contesto in cui sono venuti a modificarsi i rapporti tra governo e Camere in materia di processo legislativo, la cautela era necessaria. Per cui osservo che fino ad oggi gli italiani sono stati informati in maniera molto sommaria. Lo stesso andamento delle tribune elettorali referendarie si è rivelato una comparsa rispetto al tema centrale rappresentato dalle regionali: non considero questo passaggio come routinario.
Perché?
Che l’elettorato del Pd, genericamente di centrosinistra, si sia espresso anche attraverso suoi rappresentanti storici (Prodi, ndr) significa che la materia avrebbe meritato non un posizionamento di facciata, bensì un dibattito approfondito su temi basilari, che si raccordasse alla spinta etica e morale che era propria dei costituenti.
Il ministro della Salute Roberto Speranza ha rilanciato il campo progressista basato su alleanza sinistra-M5S, ma il mancato accordo alle regionali lo smentisce?
Ricordo che il campo progressista faceva riferimento al tentativo fatto a suo tempo dall’ex sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, di cui Speranza era stato uno degli interlocutori. L’alleanza con il M5S è un fatto parlamentare e non può essere definito genericamente come un campo progressista. Magari si può definirlo tale solo in opposizione ad una destra preoccupante che in questi due anni, attraverso i suoi leader, ha diffuso una retorica intrisa di anti europeismo. Ma non penso possa essere solo questa l’unica funzione di un campo progressista, perché se quell’idea si fonda con la suggestione del superamento del parlamentarismo, allora siamo in presenza di un’altra cosa: ovvero di un’impostazione che rifugge dalla tradizione del parlamentarismo democratico per rifugiarsi verso istituti di democrazia diretta che lasciano il tempo che trovano. Nel frattempo i grillini sono arrivati a contestare perfino l’uso di Rousseau: e noi dovremmo convincerci oggi che il modo con cui si sana la democrazia italiana si ritrova in meccanismi simili? Sarebbe un campo confusionario e non progressista. Ma questo credo non fosse nelle intenzioni dell’ottimo ministro Speranza, che magari cercava solo di riordinare la situazione generale, in cui i grillini sono in preda ad un copio dissolvi. Lo dimostra il fatto che solo pochi giorni fa 50 parlamentari M5S hanno tentato di sfiduciare il premier sul tema Servizi.
Pd e M5S hanno posizioni diverse sul Mes: chi la spunterà?
Il M5S deve assumere una funzione di responsabilità istituzionale, che non è quella di abbaiare alla luna. Sono appena uscito dall’audizione in Banca d’Italia: un errore rinunciare ad una fonte, di nuovo conio e senza condizioni, come il Mes avendo un debito così alto da trasformare in prestito vantaggioso. Per questa ragione dovremmo marcare un’attenzione crescente al comparto sanitario, soprattutto se non saremo in condizione di garantire il vaccino per tutti. Occorrono investimenti sull’igiene pubblica e sulla medicina di base per contrastare questi fenomeni epidemici.
Bettini, dopo aver certificato il fallimento dell’esperimento giallorosso, dice che “dopo le elezioni per il governo servirà più di un tagliando”. Ha ragione?
Il tagliando, una volta superate le regionali, e immaginando un tragitto che porti alla fine della legislatura attraverso l’elezione del Presidente della Repubblica, è normale che possa esserci. È una valutazione che dovrà fare il premier, a cui attribuisco un ruolo decisivo.
La presenza di Draghi al meeting di Cl è stato un segnale preciso? E in quale direzione?
È una persona che conosco benissimo per antica frequentazione: il suo intervento a Rimini è stato di altissimo spessore, metterlo forzatamente sul treno di chi aspira o sgomita verso Palazzo Chigi significa non conoscerlo bene. Mi chiedo come potrebbe inserirsi nella situazione parlamentare appena descritta quando, nelle rappresentanze parlamentari attuali, vi è un calcolo di strumentalismo che supera il senso della responsabilità. Non abbiamo bisogno di bruciare figure di tale qualità, perché comunque sono necessarie in prospettiva.
Con vista Colle, intende?
Il Presidente Mattarella ha manifestato il no al secondo mandato, anche sulla scorta dell’esperienza di Napolitano. Per cui bisognerà che il Parlamento rifletta bene sul da farsi, trovando una soluzione adeguata. Non c’è dubbio che Draghi possa ricoprire questo ruolo in maniera adamantina.
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