Il primo discorso di Ursula von der Leyen sullo Stato dell’Unione lascia l’amaro in bocca. Sia chiaro, la von der Leyen ha usato parole giuste, ha ribadito la necessità di un orientamento sostenibile e Green per lo sviluppo dell’economia europea. Ha messo l’accento sull’urgenza di dotarsi di infrastrutture digitali all’avanguardia. E sull’opportunità di utilizzare a questi scopi le risorse del Recovery Plan. Ha anche sottolineato come senza il passaggio ad un voto a maggioranza almeno in politica estera le sollevazioni indignate contro Lucaschenko, la Turchia, la Russia nel caso Navalny, etc sono sostanzialmente inutili; nient’altro che spettacolo mediatico.
Sembrava, più che altro, un discorso rivolto al passato, come se non vi fosse alcun futuro per la Ue in quanto tale. E proprio in un momento in cui ci si appella alla Next Generation EU come protagonista delle scelte di oggi. Come se il Recovery Plan fosse il punto di arrivo e non di partenza di una nuova e più seria stagione dell’integrazione europea fermamente orientata a trasformarsi in una genuina democrazia sovranazionale, in cui le decisioni collettive cruciali non siano più assunte dai governi, ma dai cittadini; o almeno col forte coinvolgimento dei loro rappresentanti diretti. Una Ue capace di trasferire a livello sovranazionale parte della sovranità oggi frammentata in centri di potere nazionali, per diventare attore globale, capace di imporre i propri valori di tolleranza, libertà, democrazia, apertura al resto del mondo; invece che subire i ricatti incrociati di superpotenze come Usa, Cina, Russia, etc con le loro logiche ottocentesche di potere.
Perché il Recovery Plan, questo straordinario atto di solidarietà collettiva europea, non sia più il frutto estemporaneo di una crisi pandemica senza precedenti e di un’emergenza economica, sociale, politica che rischia di mettere in ginocchio l’Europa. Ma diventi la norma, in un contesto decisionale non più lasciato a soluzioni intergovernative, che possono (malamente) funzionare in condizioni di crisi acuta; ma non nel normale funzionamento delle istituzioni europee.
Dov’è il futuro per la Next Generation EU? Non si può indicare solo una strada verde e digitale. Occorre cambiare, in profondità, questa Unione Europea ancora barcollante, che cerca di muovere, a settant’anni dal suo avvio e trent’anni dopo la moneta unica, nuovi passi nella direzione giusta; mentre il mondo procede alla velocità della luce; con grandi potenze continentali che si attrezzano per vincere una guerra politica, economica, di valori di dimensione globale.
Dove sono le modifiche ai Trattati, non più rinviabili per far avanzare questo processo di aggregazione dei cittadini europei? Quali competenze allocare a quali livelli di governo, in una nuova e più efficiente ottica multilivello? Come riscrivere le regole di una governance economica e sociale finora divisiva, capace di accrescere, invece che di diminuire, le differenze fra individui, regioni, paesi? A cosa serve la Conferenza sul Futuro dell’Europa, che avrebbe dovuto coinvolgere cittadini, istituzioni e società civile per riscrivere il patto costitutivo della società europea?
Chi si aspettava un buon discorso è stato soddisfatto. Chi, come il sottoscritto, si aspettava il discorso di apertura di una nuova stagione dell’integrazione europea non può che rammaricarsi per l’ennesima occasione sprecata.