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Cosa hanno in comune Tridico e Quota 100. Il commento di Cazzola

Quando due notizie da dieci righe nelle brevi di cronaca risalgono fino alla prima pagina e persino al titolo d’apertura di importanti quotidiani e si collocano ai primi posti nei palinsesti dei tg viene da pensare che ormai esista un rapporto biunivoco tra un’opinione pubblica dominata dall’invidia sociale ed un sistema mediatico che alimenta questo sentimento plebeo.

Ormai è come la storia dell’uovo e della gallina: nessuno è in grado di dire se sia nata prima una cattiva informazione oppure un’opinione pubblica malata. Fatto sta che in presenza di certi argomenti i media non esitano a dare in pasto all’opinione pubblica qualunque notizia sia in grado di solleticare i suoi istinti peggiori. Nel nostro caso – come vedremo – ad agitare il drappo rosso sono le retribuzioni e le pensioni, ma succede così anche in situazioni in cui sono in gioco responsabilità ben più gravi come nei delitti, nei reati penali e contro la pubblica amministrazione, tanto che ormai sono criticate le sentenze di assoluzione, che sopraggiungono magari dopo decenni. Ma non divaghiamo.

In questi giorni è salita alla ribalta del disonore e dell’indignazione popolare – è il primo caso – la notizia dell’aumento dell’indennità percepita da Pasquale Tridico, in quanto Presidente dell’Inps. Con un bel po’ di malafede si confonde la persona con la carica. Chi scrive ha conosciuto tutti i presidenti dell’Istituto dal 1970 ad oggi (ovvero fino all’attuale in carica), sia quelli di indicazione sindacale, sia quelli di nomina governativa.

Se mi si chiede un’opinione su Tridico ritengo, per tanti motivi, che sia inadeguato per quel ruolo. Del resto il professore pugliese non è il solo a non essere all’altezza dell’incarico che gli è stato affidato. Un siffatto giudizio è estensibile alla quasi totalità dell’attuale classe dirigente, anche una situazione siffatta non assolve Tridico dalle sue responsabilità. Ma che cosa c’entra la performance di Tridico con l’indennità che un decreto interministeriale riconosce al presidente e ai componenti del cda dell’Inps?

La riforma degli organi di vertice dell’Istituto – dove Tridico ricopriva già la funzione di Commissario – è stata prevista nel decreto n.4 del 2019. Ed è normale che siano stati definiti i trattamenti. Ma se ci sono delle riserve esse vanno rivolte, innanzi tutto, ai ministri che hanno varato il decreto (a me è parso che vi fosse uno squilibrio tra l’indennità del presidente e quella dei membri del cda).

Anche per quanto riguarda la decorrenza (la data della nomina o dell’insediamento) fa stato quanto era previsto nel decreto interministeriale, a meno che non abbia avuto luogo un’interpretazione pro domo sua da parte di Tridico. Solo nel caso in cui non fosse stabilito chiaramente il termine della decorrenza, il Collegio dei sindaci era legittimato a esprimere delle riserve, ma non poteva certo censurare il decreto, se non segnalando l’incongruenza alla Corte dei Conti.

Non ha senso poi mettere in relazione le difficoltà e i ritardi nell’erogare i provvedimenti di tutela del reddito con la nuova indennità riconosciuta al presidente dell’Inps, come se ci trovassimo di fronte ad una sorta di distrazione dell’Obolo di San Pietro. Ed è vero, le difficoltà operative attribuite all’Inps non stanno solo nella dimensione delle prestazioni da erogare con procedure di nuova istituzione, ma anche nell’assetto di impreparazione funzionale in cui l’Inps è stato colto dallo scoppio dell’emergenza pandemica.

Alla fine del 2019 Tridico ha deciso – avvalendosi dei poteri commissariali – la rotazione della struttura dirigenziale mandando in periferia i dirigenti centrali e viceversa e soprattutto valorizzando quelli provenienti dall’Inpdap al posto del nucleo forte dei quadri Inps. Una decisione sbagliata in sé – ideologica e punitiva – che si è rivelata sciagurata nei mesi seguenti, perché al momento della tempesta perfetta l’Inps non aveva uno stato maggiore con l’esperienza necessaria per affrontarla, soprattutto nel settore strategico dell’informatica.

Poi, non lo si dimentichi, il lockdown ha portato alla chiusura degli uffici pubblici e ad un fantasioso lavoro da remoto. Non ci sono state, purtroppo, solo pratiche di cig ad essersi incagliate, ma, solo per fare un esempio, 1,5 milioni di processi civili che si sono aggiunti all’arretrato a causa della paralisi degli uffici giudiziari. Ma si vede che l’opinione pubblica reagisce solo per questioni di stipendi (il prossimo tema che il M5S vuole affrontare dopo il taglio dei parlamentari) e non di efficienza amministrativa. Ci sarebbero tanti motivi per “dimissionare” Tridico, senza ricorrere ad un vilipendio scorretto che parla alla pancia di tutti coloro che sarebbero disposti ad uccidere il vicino di casa perché percepisce una pensione più elevata della sua.

A tal proposito, l’altro grande tema che sconvolge le masse e porta acqua al mulino populista è quello delle pensioni. L’ineffabile Giuseppe Conte si esibisce ad un Festival dell’Economia e annuncia ciò che era considerato pacifico da tutti Lega compresa: Quota 100 è una deroga sperimentale per un triennio a cui deve seguire un intervento di carattere strutturale (per il Capitano – ancora “folgorante in soglia” sulla spiaggia del Papeete – si trattava del requisito di 41 anni di versamenti). Nessuno, neppure i sindacati che non si fanno mancare nulla in tema di pensioni, hanno mai chiesto di prorogare quota 100 oltre la fine del 2021. Anche perché – è bene tenerlo presente – chi matura il requisito (62 anni di età + 38 di versamenti contributivi) entro il 31 dicembre 2021, se lo porta appresso per tutta la vita lavorativa e può avvalersene anche in un momento successivo.


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