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Navi, testate nucleari e missili. La potenza militare della Cina certificata dal Pentagono

Australia

Duemila velivoli da combattimento, duecento testate nucleari destinate a raddoppiarsi in dieci anni e oltre 350 tra navi e sottomarini da guerra per la marina militare “più grande del mondo”. È la Cina secondo il Pentagono, una vera e propria “potenza militare” con ambizioni egemoniche che intrecciano obiettivi economici, sociali e strategici.

IL REPORT E IL MOMENTO

È la certificazione del primo competitor globale per gli Stati Uniti che emerge dalla ventesima edizione del “Military and security developments involving the People’s republic of China”, il report che ogni anno il dipartimento della Difesa presenta al Congresso americano per aggiornarlo sui progressi del Dragone in campo militare. La sua pubblicazione avviene in un momento delicato per i rapporti tra Washington e Pechino. Il capo del Pentagono Mark Esper è impegnato in questi giorni in un tour nel Pacifico per verificare lo stato di prontezza delle forze americane e per coinvolgere alleati e partner nel contrasto all’ascesa militare cinese. È di ieri la proposta del vice segretario di Stato Stephen Biegun di formalizzare la cooperazione con Australia, Giappone e India con un patto stile Alleanza atlantica (qui il focus).

VERSO #USA2020

La competizione con Pechino è d’altra parte certificata in tutti i documenti strategici degli Usa degli ultimi anni, dalla National Security Strategy fino alla Nuclear Posture Review. Una certezza destinata a superare ogni possibile esito del voto del prossimo novembre. Lo ha dimostrato il recente dibattito su #Usa2020 organizzato dall’Atlantic Council, con la partecipazione del deputato repubblicano Micheal Turner e di Michèle Flournoy, ex vicesegretario alla Difesa dell’ultima presidenza Obama e ritenuta tra i favoriti alla guida del Pentagono in caso di vittoria di Joe Biden. Concordi, entrambi, sul confronto a tutto tondo con Pechino.

LE AMBIZIONI DEL DRAGONE…

Alla base della preoccupazione bipartisan  ci sono i progressi compiuti dal Dragone in campo militare, certificati proprio dal report annuale della Difesa a stelle e strisce. Si associano alle ambizioni di Pechino per divenire una “potenza militare globale” entro il 2049, obiettivo certificato da Xi Jinping nel 2017 (in occasione del diciannovesimo congresso del Partito comunista cinese) e destinato a essere ulteriormente focalizzato il prossimo anno, quando si celebrerà il centenario della fondazione del Pcc. D’altra parte, “diversamente da quanto fanno le Forze armate americane – ha detto Esper presentando il report – l’Esercito popolare di liberazione non serve il suo popolo o una Costituzione, ma il Partito comunista cinese nel suo tentativo di minare regole e norme in giro per il mondo”. È una “fusione” di obiettivi egemonici sociali, economici e strategici, negli ultimi anni sempre più accompagnati dal rafforzamento di strumenti di hard power, si legge nel report. L’obiettivo già formalizzato dalla Repubblica popolare è avere uno strumento militare “world class” entro il 2035.

… IN NUMERI (NUCLEARI)

Grande focus in tal senso sul nucleare cinese, a pochi mesi dalla scadenza del trattato New Start tra Russia e Usa, ultimo grande baluardo del sistema di controllo degli armamenti, sul cui rinnovo, con interesse convergente, Mosca e Washington vorrebbero coinvolgere Pechino (che per ora non ha mostrato alcun interesse ad aderire). La Cina, spiega il Pentagono, raddoppierà le testate nucleari a disposizione nel giro di dieci anni. Impegnata ad aumentare e diversificare l’arsenale, la Cina possiede attualmente, secondo la Difesa Usa, 200 testate. Numeri al ribasso rispetto ad altre proiezioni (inevitabili vista la riservatezza cinese sul tema). Lo scorso anno, il “Pentagon’s 2019 China Report” redatto dalla Federation of American Scientists, ha stimato per il Dragone una disponibilità di circa 290 testate nucleari. Secondo Sipri, oggi sarebbero 320. A giugno, mentre gli Usa discutevano sull’uscita dagli accordi Open Skies, Hu Xijin, direttore di Global Times (il tabloid a diffusione mondiale del Partito) invitava il governo ad aumentare il numero di testate nucleari fino a mille.

I MISSILI DEL DRAGONE

Oltre i numeri, le preoccupazioni Usa riguardano la dottrina nucleare cinese, in evoluzione verso un rafforzamento dell’intera “triade”, missili avio-lanciabili, lanciabili da silos terrestri e da unità navali. “Gli sviluppi del 2019 – spiega il Pentagono – suggeriscono che la Cina intende aumentare la prontezza delle sue forze nucleari in tempi di pace spostandosi da una postura di lanci-su-allerta (Low) a una forza accresciuta basata su silos”. Inevitabile il riferimento ai missili che il Dragone ha potuto sviluppare “non essendo vincolata ad alcun accordo internazionale”. Per la Difesa Usa i cinesi dispongono di 1.250 tra missili balistici e da crociera per lancio da terra con range tra 500 e 5.500 chilometri, cioè vettori il cui dispiegamento è vietato dal trattato Inf da cui Washington, non a caso, è voluta uscire.

Citati tutti i missili balistici cinesi. Dai vettori a corto raggio DF-15 (che preoccupano in scenari regionali circoscritti) all “aircraft carrier killer” di raggio intermedio DF-26 (recentemente testato nel Mar cinese meridionale insieme al più contenuto DF-21), fino ai DF-41, svelati lo scorso anno, missili balistici intercontinentali ritenuti capaci di raggiungere Europa e Stati Uniti in circa 30 minuti, trasportando fino a dieci testate indipendenti, convenzionali o nucleari, con lancio da silo o da base mobile.

L’IMPRONTA NAVALE

Eppure, tra missili e testate, l’attenzione maggiore del report pare essere sulle forze navali dell’Esercito popolare di liberazione. Una certificazione che pesa per il Pentagono: la Cina dispone “della Marina più grande al mondo”. Si compone di 350 tra navi e sottomarini da guerra, di cui 130 unità di categoria “major” per il combattimento in superficie. In confronto, la battle force americana è di circa 293 unità. Inoltre, “la Cina è la prima nazione produttrice di navi al mondo per tonnellaggio, e sta aumentando la sua capacità di costruzione navale per tutte le classi”. Nel 2019 Pechino ha commissionato la costruzione della prima portaerei “made in China”. Nel 2023 dovrebbero essercene due in servizio per la Marina cinese. Sempre lo scorso anno, è stata lanciata la prima nave d’assalto anfibio di classe Yushen.

TRA CIELO E SPAZIO

Si aggiungono alle forze aeree, anch’esse in crescita. Secondo il Pentagono, Pechino dispone di 2.500 velivoli militari, di cui duemila da combattimento. L’Aviazione cinese “sta rapidamente raggiungendo le forze aeree occidentali in una vasta gamma di capacità e competenze”. Preoccupa poi l’attivismo nel rafforzamento le capacità di anti-access/area-denial (A2AD), cioè di creare bolle protette contro eventuali avversari, tenendo le forze altrui lontane dalle proprie zone di interesse (a iniziare dal Mar cinese meridionale). La Cina dispone di sistemi russi S-400 e S-300, a cui si aggiungono a sistemi prodotti internamente per formare “un’architettura di difesa aerea robusta e ridondante”. Infine, c’è attenzione per la dimensione spaziale dell’impegno cinese. Il Pentagono ricostruisce un piano completo, dai lanciatori all’esplorazione interplanetaria, passando per le capacità militari anti-satellite già dimostrate da Pechino ormai oltre un decennio fa.

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