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Come e perché Conte prende in mano il dossier del reddito di cittadinanza

A questo punto, si può tranquillamente affermare che l’effetto dei risultati  elettorali e confortanti per il Pd e della conseguente iniziativa verso il governo di Zingaretti sia quella di indurre il Conte 2 a fare una congrua pulizia dei provvedimenti bandiera più populisti adottati dal governo Conte 1 gialloverde.

Il presidente del Consiglio si è infatti impegnato infatti a portare ad uno dei prossimi Consigli dei ministri la sostanziale abolizione dei decreti sicurezza, ed ha annunciato che alla scadenza del 2021 non ci sarà assolutamente un rinnovo di quota 100 per le pensioni. Questo per quello che riguarda le due leggi bandiera della Lega Nord nel governo Conte 1.

Ma in questi giorni lo stesso premier Conte ha concentrato l’attenzione anche sulla bandiera delle bandiere dei 5 stelle: il reddito di cittadinanza. Con toni più perentori di quelli che di solito ama utilizzare, secondo quanto riporta il Corriere della Sera di lunedì 28 settembre, ha affermato: “Voglio che una soluzione sia operativa entro 6 mesi, il reddito di cittadinanza in questo modo rischia di essere una misura assistenziale senza progettualità”. Questo, a seguito di un ciclo di riunioni riservate con la ministra del Lavoro, la ministra dell’innovazione digitale e il presidente dell’agenzia nazionale delle politiche attive sul lavoro. Sembra quindi che il presidente del Consiglio con un taglio netto abbia deciso di prendere in mano il dossier sul reddito di cittadinanza e le politiche attive sul lavoro, constatato il fallimento del reddito di cittadinanza come misura, che favorisce l’avvio al lavoro dei soggetti beneficiari.

Non sappiamo, come è stato detto con enfasi populista, se il reddito di cittadinanza abbia “abolito la povertà”, ma certamente è rimasta solo una misura assistenziale, lungi dall’essere il prologo di un inserimento dei beneficiari nel mondo professionale, diventando per assurdo, invece, un deterrente alla creazione di occupazione. Vuoi perché chi ne beneficia si accontenta delle 500 euro di reddito mensile di cui gode, vuoi perché come ha dimostrato anche un’inchiesta di Goffredo Buccini e Federico Fubini sul Corriere della sera del 27 settembre, è sempre più diffuso il fenomeno dei percettori del reddito di cittadinanza che si presentano a piccole e medie imprese a cercare lavoro in nero, come denunciato da alcuni imprenditori. Un fenomeno diffuso nel Mezzogiorno, ma non solo. E  non si capisce poi cosa stiano facendo i tanto famosi “navigator”.

A questo punto lo stato dell’arte è questo: Sì, abbiamo circa 3 milioni di percettori del sussidio, ma sostanzialmente quasi nessuno di questi è stato avviato al lavoro e l’inesistenza di un modello di avvio al lavoro incide su tutta la politica attiva del lavoro in un paese in cui ce ne sarebbe bisogno più che mai, visto che i 585.000 posti di lavoro persi dall’inizio del lockdown a fine luglio sono quasi tutti di lavoro giovanile e di contratti a termine (in buona parte grazie al decreto dignità).

Mentre il governo dovrebbe essere più che mai concentrato sull’avvio politiche attive del lavoro, sembra invece, da notizie di stampa, che ci sia uno scontro che dura da tempo tra la ministra del lavoro Catalfo e il presidente dell’Anpal Parisi che riguarda la destinazione dei fondi europei ed altri aspetti sul funzionamento dell’Anpal, e che ci sia proprio in seno alla stessa agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro, uno scontro tra il presidente Parisi e il direttore generale Nicastro sulle rispettive competenze. Di tutto questo ne risente quello che dovrebbe essere uno dei principali problemi aperti nel Paese, cioè il problema del mettere in connessione l’offerta e la domanda di lavoro. A questo punto la speranza è che il presidente del Consiglio Conte eserciti davvero tutto il suo peso nell’assumere nelle proprie mani questo delicato dossier.

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