Una vittoria del fronte del Sì al referendum confermativo della legge sul taglio del numero dei parlamentari e un risultato di pareggio tra le forze partitiche alle elezioni regionali indicano con chiarezza chi sia il vero vincitore di questa tornata elettorale.
Non il M5S di Crimi e Di Maio, che pure si sono affrettati nelle comunicazioni successive allo spoglio dei voti referendari ad intestarsi il risultato del Sì, pur di non affrontare, in seguito, il difficile commento degli esiti elettorali regionali del MoVimento. Vedremo alle prossime elezioni politiche quanto la riduzione del numero dei parlamentari, battaglia del M5S, non si ritorca contro i grillini, che potrebbero raccogliere un numero contenuto di seggi, avendo “esaurito” la carica ideale innovativa con questa battaglia e dovendo rispondere agli elettori dell’azione di governo.
Non il Pd di Zingaretti, che pure prova a leggere il “pareggio” tra le Regioni come una importante attestazione di tenuta, ma perde l’amministrazione di una Regione (le Marche) mentre vede confermata la guida dei due governatori carismatici, più che uomini di partito, come Emiliano e De Luca. Non è detto che questo esito elettorale possa consentire al segretario Zingaretti di procedere con la strategia di galleggiamento o di minima resistenza, di fronte alle opposizioni interne al partito, che hanno cominciato a far sentire la propria voce con potenza.
Non la Lega di Salvini che non arriva a conquistare la Toscana e vede crescere il peso specifico, anche su scala nazionale, di Zaia che vanta un risultato plebiscitario. Molto probabilmente, anche in questo caso, gli equilibri interni al partito di Salvini potrebbero essere riorientati; questo accade in virtù della circostanza che il periodo di opposizione, se come appare continuano legislatura e governo, si allunga nel tempo, rendendo praticabili aggiustamenti nella leadership e nella proposta politica agli elettori, in vista delle elezioni politiche del 2023.
Il vero vincitore è l’inquilino di Palazzo Chigi, Giuseppe Conte. Paludatissimo sul proprio orientamento fino a poche ore dalla consultazione referendaria, sottotraccia nei radar della politica e presente solo in selezionatissimi eventi istituzionali prima delle consultazioni, il presidente del Consiglio può finalmente tirare un respiro di sollievo, considerando gli attacchi al governo archiviati, presumibilmente, fino al termine della legislatura.
Ogni altro risultato politico (una vittoria molto netta di Pd, M5S e IV, una vittoria molto netta delle opposizioni, una affermazione del No) avrebbe comportato, per riscaldamento degli equilibri politici della maggioranza o tra maggioranza e opposizione, la conseguenza di una effettiva incertezza sul governo e sul suo vertice. Il pareggio tra Pd – IV e opposizioni alle elezioni regionali e la conferma referendaria del taglio dei parlamentari costruiscono un nuovo equilibrio politico che sembra ritagliato su misura per Conte, che pure non appare tra i principali fautori politici di questo risultato. In questo contesto, con il lavoro di negoziato internazionale e interno sul Recovery Fund (e le molte attività politiche ed amministrative, definite anche in termini di tempi, che questi finanziamenti a prestito della Ue richiedono per procedure di bando e di spesa) e incamerando una stabilità politica interna alla maggioranza e riferita anche al sistema partitico in generale (che ha valutato le proprie forze nelle regionali), Conte si assicura una probabile prosecuzione dei lavori fino alla scadenza naturale della legislatura.
La fase di convivenza con il Covid-19, la gestione delle difficoltà economiche e sociali del Paese, la gestione dei fondi europei destinati alla fase di emergenza, il nuovo design delle circoscrizioni elettorali dovuto alla riduzione dei Parlamentari, l’elezione del prossimo Presidente della Repubblica sono tutti obiettivi istituzionali verso cui Giuseppe Conte si avvia con la leggerezza di non appartenere a nessuno schieramento e con la fiducia circa l’assenza di alternative. Insomma, tra gli effetti non intenzionali di questo esito elettorale, c’è probabilmente l’allungamento della vita politico-istituzionale del professore dell’Università di Firenze, che resterà lontano dalla sua cattedra e dai suoi studenti ancora per qualche tempo. Nessuna tra le forze partitiche di maggioranza porrà più ultimatum al presidente del Consiglio; né si sentirà probabilmente più suggerire il nome di Draghi, se non in vista delle elezioni del Presidente della Repubblica.
E mentre nelle segreterie di partito continua la rappresentazione comunicativa che vuole tutti vincitori della battaglia selezionata ad hoc, Conte appare liberato dalle incombenze della propaganda e del rapporto con gli elettori, con buona pace degli spin doctor che gli avevano suggerito la balzana idea del Partito di Conte. In questo modo il presidente del Consiglio si appresa a far sentire il proprio peso istituzionale su tutti gli equilibri politici usciti dal voto del 20 e 21 settembre in questo autunno meno caldo politicamente di quanto ci si poteva attendere.