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Da Bruxelles a Roma, Rampelli svela i piani di Fratelli d’Italia

Patti chiari, alleanza lunga. Fabio Rampelli, primissima linea di Fratelli d’Italia, vicepresidente della Camera, già leader dei “Gabbiani”, elenca i paletti per andare avanti. Lealtà all’alleato Matteo Salvini, il leader della Lega che sabato prossimo va a processo a Catania per il caso Gregoretti. Ma tra Bruxelles e Roma, ora FdI e Giorgia Meloni, eletta presidente dei Conservatori europei, hanno una road map chiara. Che porta dritta al Campidoglio.

Fabio Rampelli, alle regionali siete cresciuti ovunque ma l’assalto a Puglia e Toscana non ha funzionato. Perché?

Ci siamo trovati due mostri sacri come governatori uscenti che, come Toti e Zaia, hanno beneficiato dell’effetto Covid-19. La gestione del virus ha dato loro una popolarità senza precedenti, e non a caso le loro liste civiche hanno spiccato il volo. Peraltro con consensi trasversali.

Cioè?

Personalità come Emiliano e De Luca non sono ascrivibili al patrimonio culturale della sinistra. Pescano a piene mani nell’elettorato di centrodestra. Basta sentire cosa dice De Luca su immigrazione e sicurezza. Non è così lontano dalla linea Salvini.

Dica la verità, in Puglia Fitto è stato abbandonato dal “Capitano”.

Non credo ci sia stato un abbandono predeterminato. Penso che i leader di partito abbiano scelto di essere più presenti lì dove c’erano i loro candidati. Giorgia (Meloni, ndr) è stata più presente in Puglia che in Veneto, è fisiologico. Mi permetta una precisazione.

Prego.

La narrazione di quel voto fatta dal circuito mediatico è surreale. Non c’è stato alcun tre pari, ma un 1 a 0 per il centrodestra, che ha conservato le due regioni che governava e tolto alla sinistra le Marche dopo 25 anni di monopolio.

Salvini ora vi chiama a raccolta a Catania per il processo sul caso Gregoretti. Giusto esserci?

Guardi, quando ci sono state manifestazioni di tutta la coalizione noi non ci siamo mai fatti pregare. Siamo un po’ meno inclini ad essere convocati, preferiamo progettarle insieme. In questo caso, la battaglia è sacrosanta e Salvini ha ragione da vendere. Non c’è motivazione valida per processare lui e non Conte, fu una decisione collegiale del governo.

Nel frattempo una parte della Lega abbassa i toni e cerca il dialogo con i moderati. Anche voi, si dice, avete imboccato quella strada.

Meloni già parla a un consesso più ampio di Fratelli d’Italia. Lo dimostrano i dati che ci vedono triplicare consensi e voti rispetto a due anni fa. Tutto questo è possibile quando i leader non parlano solo ai propri adepti. Ovviamente senza venir meno alla propria identità.

Anche in Ue? Ora che Meloni è diventata presidente dei Conservatori il dialogo con il Ppe è sul tavolo?

Il dialogo con il Ppe è sempre stato sul tavolo. Ricordo che alla nostra festa di Atreju abbiamo invitato Orban, che è parte della famiglia popolare. Senza promiscuità, la democrazia dell’alternanza è un bene. Noi siamo per il bipolarismo, a Bruxelles come a Roma.

Rampelli, lei si candida a sindaco della Capitale?

Me lo chiedono tutti. Non voglio sottrarmi alla domanda, ma chiarire un punto: chi vuole bene a Roma non pensa a chi farà il sindaco, ma a come risollevare la città da questo disastro. La scelta dei nomi viene dopo.

Un indizio: il candidato sarà un romano?

Roma è una città internazionale, non è indispensabile che sia un romano. Può essere un politico o un civico, basta che abbia l’identikit giusto per farla rinascere dalle macerie.

Sul programma siete tutti d’accordo?

Ci stiamo lavorando.

Lei ha fatto sua la battaglia per i poteri speciali a Roma. Però fra i leghisti c’è ancora tanta perplessità…

Sfido chiunque a verificare cosa c’è scritto sul programma elettorale sottoscritto da Salvini, Meloni e Berlusconi nel 2018. C’è scritto che Roma deve avere gli stessi standard qualitativi delle altre capitali europee. Londra, Parigi, Berlino, Madrid. Il problema non sono i poteri speciali.

E allora quale?

Il problema è chi vuole Roma come una capitale di serie B. Deve essere messa nelle condizioni di fare la capitale. E invece mancano risorse per la gestione di beni e proprietà, paga l’Irpef più alto d’Italia, e deve onorare un debito fino al 2050 nato quando sindaci come Rutelli e Veltroni potevano andare in banca e accendere un mutuo, che lo Stato ora non vuole rifondere.

Morassut parla di un referendum per i poteri speciali.

Un errore tattico, perché si provincializza un dibattito nazionale, sulla capitale d’Italia. È un problema che andava risolto molto prima, ma chi è stato al governo ha fatto melina. Oggi il Pd esprime i ministri dell’Economia, delle Infrastrutture, delle Regioni, i Cinque Stelle il titolare del Mise. Non ci sono più scuse.

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