Spesso la rete è riuscita a scalfire e indebolire dittature nel mondo, ma altrettanto spesso la rete è diventata anche uno strumento di cui i regimi si sono serviti e si servono in maniera sfrontata per veicolare i propri messaggi autoritari. Per cui, ci si chiede, qual è il ruolo nuovo e peculiare che oggi l’informazione riveste, specialmente di fronte a uno sviluppo di processi democratici di fatto sempre più incontrollati o incontrollabili? E qual è il giusto bilanciamento tra libertà d’espressione e diritti costituzionali, nell’era della rete? Temi le cui risposte non sono semplici né immediate, ma che si sono provate a tratteggiare durante la presentazione del libro di Oreste Pollicino e Giovanni Pitruzzella “Disinformation and hate speech. A European Constitutional” (Bocconi University Press).
L’INFORMATION OVERLOAD E IL PROBLEMA DELLA REGOLAMENTAZIONE
Sempre più infatti si è bombardati di informazioni, e così anche di disinformazione, e sempre meno sembra tuttavia che gli utenti siano informati sulle questioni più importanti del mondo che li circonda. L’information overload genera un’informazione massiva in cui tutti fanno la loro parte ma in cui allo stesso tempo si perde di vista il contenuto stesso, il messaggio diventa sfocato e la notizia si perde tra i mille rivoli dei commenti e delle interpretazioni.
Il ruolo della conoscenza, in tutto questo, è fondamentale perché permette di discernere le informazioni, come ha spiegato il Rettore Luiss Andrea Prencipe introducendo il dibattito moderato dall’editorialista del Corriere della Sera Maurizio Caprara. A conversare con gli autori, il Giudice della Corte Penale Internazionale, Rosario Aitala e la vice presidente Luiss ed ex ministro della Giustizia del governo Monti Paola Severino. Come tornare perciò a dare alla conoscenza la centralità che gli spetta?
LE “FILTER BUBBLE” E LA SOCIETÀ DEI GRUPPI CONTRAPPOSTI
Su questo punto gioca un ruolo importante il tema della filter bubble, ovvero non di ciò che si vede ma di ciò che non si vede quando si naviga in rete. O meglio, del fatto che le piattaforme social nascondono una buona parte delle informazioni che non riguardano la nostra “bolla di interessi”, permettendo di accedere solo a una comprensione parziale della realtà. Se il dubbio, la critica e il contraddittorio sono l’essenza della società liberale come la conosciamo, la chiusura, l’isolamento e l’innalzamento di steccati e recinti diventano l’anticamera di una società fatta di tanti gruppi illiberali che si sovrappongono e si affiancano tra loro, facendosi inevitabilmente la guerra.
Dal pluralismo dell’informazione si passa così alla pluralità di comunità e gruppi in conflitto tra loro. “Uno dei meriti principali di questo libro è di mettere in luce quanto il fine principale delle piattaforme private sia quello di raccogliere dati sugli utenti. E da questo punto di vista di considerare che la rabbia e l’odio non sono degli elementi accessori dei passanti, transitori, in rete, almeno per come si configura adesso e per come le norme sia italiani sia internazionali gli permettono di essere”, ha spiegato l’editorialista del Corsera Caprara. “Sono delle presenze in qualche modo richieste, assecondate, o in certi casi anche coltivate, da varie entità presenti in rete, che motivano ancora di più la permanenza su queste piattaforme”.
LE PROFEZIE SULLA RETE? “AMPIAMENTE RIVISTE”
Insomma, le profezie che anni addietro vedevano nella rete il fulcro catalizzatore di ogni progresso, sociale e personale, oggi sembrano essere sempre più ampiamente riviste. “Non si tratta però di una demonizzazione della rete”, spiega l’editorialista del Corsera. Il tema del dibattito è la mancanza dello Stato nella regolazione dei meccanismi della rete, fumo negli occhi per chi da decenni sfodera le bandiere della libertà, forse utopica, di internet. Tanto da costruirci sopra, un po’ in tutto il mondo, movimenti politici di più o meno grande successo.
In ogni caso, è fuori discussione negare che internet rappresenti una grande rivoluzione, nel bene e nel male, che porta sia elementi positivi che negativi. Celerità di informazione e ampiezza dei contenuti sono da posizionarsi nella prima categoria, ma la totale disintermediazione della comunicazione è invece, ha spiegato l’ex ministro Paola Severino, da classificare nella seconda. In soldoni: in rete gli obblighi attinenti alla categoria giornalistica, come quelli di riportare la verità dei fatti, di controllare le fonti o di assumersi la propria responsabilità in caso di diffamazione, sono praticamente saltati un po’ ovunque. Comprese, troppo spesso, le grandi redazioni.
I COMPITI E LE RESPONSABILITÀ DELLE GRANDI PIATTAFORME DIGITALI
“Le grandi piattaforme hanno un grande compito di informazione così come lo hanno anche le grandi testate giornalistiche, devono dunque entro certi limiti verificare il contenuto delle notizie”, ricorda Severino, sottolineando che su questi temi ci sono già stati casi giudiziari in cui si sono poste le basi per affrontare la responsabilità delle grandi piattaforme digitali per i contenuti che vengono caricati al loro interno. Basi, però, che nella pratica sono poi servite a ben poco di fronte allo strapotere della rete.
L’auspicio della Severino è perciò quello di “una rete diffusa e armonizzata di norme condivisa dal maggior numero di Paesi nel mondo”. Che combatta la cosiddetta “ambiguità della rete”, descritta nel libro come, da una parte, il frutto del decentramento dei soggetti che comunicano, e dall’altra invece della crescita del controllo dei flussi comunicativi. Non tanto, quindi, nel contenuto ma più che altro nel flusso in cui le informazioni scorrono e si incanalano, fino a diventare contenuti “virali”.
“DI FRONTE ALLA RETE SIAMO TUTTI SOGGETTI DEBOLI”
“Di fronte alla rete siamo tutti soggetti deboli”, ha affermato Severino, che ha chiamato in causa anche la politica. “Il politico tende a rappresentare continuamente il proprio punto di vista, e anche rispetto a questo, per quanto si possano avere capacità critiche, siamo deboli”. Una debolezza che vale in molti ambiti del quotidiano. Tanto per la fruizione della rete da parte dei più giovani, sempre più soli lasciati in mano a strumenti di carattere tecnologico che esistono, ma che sono ampiamente insufficienti. Quanto invece per l’utilizzo della rete da parte di regimi dittatoriali, in cui molto spesso il discorso di odio diventa la premessa dei crimini di massa, ha spiegato Aitala.
“In Turchia molti scrittori opinionisti, tra cui ad esempio Orhan Pamuk sono stati incriminati e condannati, per avere affermato la realtà del genocidio armeno, sulla base di una norma che punisce la denigrazione pubblica dell’identità turca”, ha affermato il giudice. La difficoltà è perciò, anche in ambito giudiziario, legata al misurare lo scarto che si frappone tra falsità, informazioni, disinformazione e odio. “Ci sono episodi talmente vasti di cui è difficile negarne la rilevanza penale, mentre ce ne sono altri in cui invece ci vuole un legislatore molto cauto nelle valutazioni”, spiega ancora il giudice.
LE NUOVE SFIDE CHE LA RETE PONE ALLE DEMOCRAZIE LIBERALI
Altra caratteristica fondamentale dell’attuale assetto informativo è la compresenza nello stesso ecosistema del massimo del decentramento e del massimo della concentrazione, ha spiegato l’autore del libro Pitruzzella. Un fatto che pone una sfida nuova alle democrazie liberali. Basta pensare al fatto che in tutti i paesi occidentali alle prese con certe dinamiche informative si è poi assistito a una polarizzazione totale dei sistemi politici.
“Internet ci manda informazioni che ci chiudono all’interno di una bolla rafforzando i nostri pregiudizi e non permettendo di comunicare più con gli altri”, ha chiosato Pitruzzella. “Occorrono quindi delle regole pubbliche che non vengano però dagli stessi autori della rete ma da un soggetto terzo. Le piattaforme hanno l’interesse commerciale di tenere l’utente avvinto dalla piattaforma, lottano per conquistare l’attenzione dell’utente e per ottenere in cambio i suoi dati”.
L’AUTO-REGOLAMENTAZIONE E L’INERZIA DELLA POLITICA
Finora, però, l’autoregolamentazione della rete ha portato effetti nefasti, ha concluso il co-autore del libro Pollicino. Con la conseguenza della frammentazione di una cornice, tanto legislativa quanto giurisprudenziale, che dovrebbe invece essere unitaria.
“Non essendoci punti di riferimento, ci si inventa casi specifici, e si giunge a soluzioni persino diametralmente opposte”, ha concluso Pollicino. “La linea rossa tra interpretazione e manipolazione è sempre più sottile. Ma la responsabilità è dei giudici o dell’inerzia del potere politico? Non stupiamoci della creatività dei giudici se l’obsolescenza normativa è così evidente”.