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Per capire il risiko nell’Egeo guardare a Siria, Libia e Azerbaijan. Parla Politi

Non uno ma quattro ambiti interconnessi. Così è possibile leggere il risiko tra Grecia e Turchia nell’Egeo, dice a Formiche il prof. Alessandro PolitiDirettore della Nato Defense College Foundation che, partendo dal Consiglio Nord Atlantico di ieri tarato sulle provocazioni di Erdogan, analizza in dettaglio le mosse di Francia, Russia e Italia mettendo l’accento anche sulle strategie americane legate al progressivo disimpegno dal Mediterraneo.

Ieri le mosse turche nell’Egeo sono state al centro del Consiglio Nord Atlantico, il più alto organo politico della Nato. La de-escalation è possibile? E a quale prezzo?

Una riduzione del conflitto riguarda le diverse posizioni dei paesi sulle loro frontiere marittime: questa la base della questione. La Turchia non ha firmato la Convenzione di Montego Bay, proprio perché ritene che il possesso delle isole greche dia dei vantaggi indebiti alla Grecia. Quest’ultima non ha dichiarato dal canto suo una Zona economica esclusiva perché teme che ciò possa accendere il conflitto.

L’accordo turco-libico come impatta sulla crisi nell’Egeo?

L’accordo ignora le isole di Creta e Kastellorizo, per cui è chiaro che a questo punto i turchi stanno provano ad uscire fuori da un’impasse che di fatto li esclude dall’Egeo e quindi dallo sfruttamento delle connesse risorse naturali. Si tratta di una scelta politica interna che naturalmente ha la sua narrativa: ovvero che in realtà negli accordi non vengono riconosciuti alcuni possedimenti ottomani. Tanto è vero che in Turchia circolano delle mappe con una presenza turca completamente diversa in Tracia, in Siria, in Armenia, nei Balcani, nell’Egeo e nell’Iraq. Per cui i due paesi devono arrivare al punto di evitare il conflitto, così come accaduto altre due volte in passato.

Con quali differenze rispetto a ieri?

C’era una mediazione della Nato decisamente più visibile accompagnata da un presidente come Ronald Reagan. Oggi invece abbiamo un presidente come Donald Trump, con tutte le sue debolezze. È chiaro che la disputa fra Grecia e Turchia si può fermare, ma ciò richiede non solo un congelamento delle posizioni ma anche un arretramento di alcune rivendicazioni, almeno nell’immediato.

Il presidente francese Macron chiederà una posizione europea comune sulla Turchia: una battaglia già persa?

No, una posizione comune è possibile: bisogna vedere se sarà all’interno dei desiderata di Macron. È facile essere europeisti ma è meno facile essere europei quando bisogna tener conto degli interessi legittimi di altri 26 paesi. Su questo aspetto i francesi non hanno mostrato, in passato, di avere particolari sensibilità: altrimenti avremmo già una posizione europea comune sulla Libia.

L’accordo di normalizzazione degli Emirati Arabi Uniti con Israele può essere visto anche alla luce dell’ultra-espansionismo turco nel Mediterraneo orientale?

E’molto relativo, perché adesso vi sono altri accordi sul gas che hanno come partner Israele. In realtà uno dei passaggi fondamentali resta l’incapacità di adottare una posizione politica riguardo le questioni iraniane e quindi anche alle relative influenze di Teheran. L’accordo però non tiene conto della questione palestinese, che invece resta irrisolta esattamente come quella curda dai tempi del 1916. Questo Medioriente è stato tracciato ignorando completamente le popolazioni locali: purtroppo oggi si pagano le conseguenze.

Intanto la Russia si offre di mediare tra Cipro e Turchia per la crisi del gas: con quali prospettive?

I russi, che twittano poco e lavorano molto, sono bravissimi a mediare per i loro interessi: spesso noi italiani non capiamo che mediare non significa presentarsi armati di buona volontà per risolvere un problema, ma nella realtà politico-diplomatica media il più forte inducendo le due parti in causa a trovare un accordo. In questo caso i russi hanno un chiaro interesse a dividere diversi attori nel gioco del Mediterraneo. C’è una linea diretta che lega gli eventi in Siria con quelli in Libia, a Cipro e alle posizioni di Mosca in Azerbaijan e in Armenia.

La nuova geopolitica del gas che vede assieme Tel Aviv, Nicosia, Atene e Il Cairo come si snoderà dopo le mosse turche in Libia?

Molti sulla Libia annunciano passi, ma poi in pochi sono presenti sul terreno in modo abbastanza sostanzioso. I grandi finanziatori non sono né l’Egitto, né Cipro, né Israele: qualcun’altro mette sul campo mercanari, jihadisti riciclati, o truppe. La Libia è una partita che potrebbe tranquillamente essere negoziata in modo separato dalle questioni gasiere: tutti stanno litigando su risorse la cui reddititivà è al momento un grosso punto interrogativo. I consumi energetici infatti sono in calo, assieme al calo consistente dei prezzi: per cui dove sono i compratori ricchi capaci di alzare i prezzi?

L’Italia da un lato si accoda alla Turchia in Libia, ma dall’altro firma un accordo con la Grecia sulla Zona economica esclusiva: basterà?

No. L’Italia può avere anche delle posizioni sofisticate, tramite una diplomazia multivettoriale: non è la sola, già in Asia centrale accade. E’inoltre diventata una pratica comune anche in ambito europeo: su alcuni fronti si collabora, mentre su altri ci si pesta i piedi. Lo si vede chiaramente nei rapporti tra Italia e Francia. Ma non può bastare: l’Italia sa benissimo che se non prenderà una posizione chiara, seguita da impegni concreti, le misure attuali saranno solo palliativi. In genere gli assenti hanno sempre torto.

Sono gli Usa i grandi assenti nel Mediterraneo in questo momento?

Gli Usa ormai da tempo hanno fatto una scelta di graduale ritiro da una vasta zona mediorientale, frantumata tra il Golfo, il Levante e il Nordafrica. Da quando hanno deciso di ridurre la loro dipendenza dalle forniture petrolifere mediorientali, il loro interesse su quello scacchiere è andato scemando. In Iraq la guerra è stata vinta, ma la pacificazione persa. Tutto il resto da quel momento è stato una lunga battaglia di retroguardia per tirarsi fuori da quello che Obama definì “War of Choice”. Questa linea prosegue anche con l’amministrazione attuale, che si guarda bene dal mettere un dito in Libia dopo il ritiro delle truppe dall’Afghanistan. Comprensibile, certo, ma poi con delle conseguenze precise. Abbiamo quindi la mancanza di un attore che, pur non avendo la bacchetta magica, in altre condizioni permetteva una certa stabilità. Continuare però a credere che la stabilità possa essere garantita da uomini forti o da regimi confessionali è pura utopia, perché tutte le nuove generazioni vogliono altro.

twitter@FDepalo



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