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Conte, Grillo e il blitz sugli 007. La versione di Aldo Giannuli

Un colpo a Conte e uno a Grillo. Altro che blitz, l’emendamento con cui una fronda di deputati del Movimento Cinque Stelle ha provato a togliere dal decreto agosto la norma sulla proroga dei vertici dell’Intelligence è pensato, studiato, premeditato. Parola di Aldo Giannuli, politologo, vecchia conoscenza dell’universo grillino e grande esperto di intelligence che sulla bagarre di Montecitorio non ha dubbi: “Qualcuno vuole aprire la crisi di governo”.

Giannuli, chi vuole aprirla?

Un gruppo non così ristretto del Movimento che mal sopporta il protagonismo di Conte. Certo i grillini non si sono strappati le vesti per quella proroga. Volevano fargli il cappotto, e hanno colto l’occasione al balzo.

Di qui la seconda domanda: perché?

Perché la verità è che si sono ritrovati controvoglia un governo quadripartito. Pd, Cinque Stelle, Leu.

E?

E Conte, che è un partito a sé. Il premier finora si è rafforzato nella convinzione di fare da pontiere fra Pd e Cinque Stelle. Se ne vantava. Adesso il Pd vuole scaricarlo perché punta a un accordo senza mediazioni, i Cinque Stelle, in pieno marasma, non lo difendono più. Anzi, vorrebbero liberarsene.

Nel merito, davvero la norma nel decreto meritava questo polverone?

Sul piano formale è stata una forzatura, c’è poco da fare. Conte ha pensato che, a fine agosto, con referendum e regionali in arrivo, nessuno avrebbe montato le barricate. Un errore, e in tanti non vedevano l’ora.

Rimaniamo alla proroga. Dare continuità ai vertici in tempo di crisi non è un bene?

Come sempre, dipende dai punti di vista. Quando conviene che qualcuno rimanga, tutti inneggiano alla continuità. Quando deve lasciare, la parola chiave diventa “rinnovamento”. Piaccia o no, anche l’intelligence è una corporazione. Può capitare che ci sia un candidato in attesa ma non ancora pronto o disposto a subentrare, che tifi per un rinvio.

Ad ogni modo, il decreto è stato approvato e la fiducia pure. Acqua passata?

Mica tanto. Un tentativo è tramontato, un altro è in preparazione. C’è già la data: 21 settembre. Se si dovesse registrare un trionfo giallorosso alle regionali si aprirebbe la strada per un ritorno di Luigi Di Maio sulla scena. Nel Movimento, e forse non solo.

Lui però smentisce.

Sa che aprire una crisi di governo ora è rischioso. Come si fa rieleggere? Agli Stati generali? E quanti lo seguiranno nei gruppi parlamentari? Può riuscirci, ma il Movimento imploderebbe e non ci sarebbe modo di ricomporre i cocci.

Perché parla di implosione?

Perché i segnali sono inequivocabili. Il Movimento non è mai stato un partito, questo lo sappiamo. Però per anni ha resistito un sistema, una scala di comando fra attivisti, dirigenti, consiglieri regionali, parlamentari, e in cima la piattaforma Rousseau. Oggi questi cinque scalini sono saltati, non è più un sistema, ma una nebulosa.

Chi tifa l’implosione?

Difficile dirlo. Nel breve periodo l’accoppiata Di Battista-Casaleggio può diventare un problema serio. Certo un’improvvisa accelerazione verso nuove elezioni rischia di far partire il si salvi chi può.

Beppe Grillo resta a guardare. Perché?

Ha tentato di salvare il salvabile, poi ha rinunciato. Non ha più grande entusiasmo per la sua creatura.

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