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Giustizia e referendum, i pasticci del Pd (grillinizzato) secondo Carlo Nordio

Giustizia e referendum: ecco il doppio errore commesso dal Pd secondo Carlo Nordio, già procuratore aggiunto della Repubblica di Venezia, che ragiona con Formiche.net sul caso trojan e sul quesito per il taglio dei parlamentari.

“Il Pd – osserva – ha sempre avuto due anime sul tema: una più giustizialista ed una garantista e riformatrice. Accettando l’alleanza con i grillini ha detto sì ad una subordinazione giustizialista. Il caso Open Arms? Una cosa brutta, la giustizia non può ubbidire a ragioni politiche”

Caso trojan-Salvini. Dopo Craxi, Berlusconi e Renzi la giustizia italiana ha cerchiato in rosso un nuovo obiettivo o è un’iperbole?

Non è sicuramente intenzione della giustizia perseguitare Salvini, né gli altri citati, anche se il numero di processi che si sono accumulati su Craxi e Berlusconi e il numero di indagini su Renzi potrebbero far sorgere questo sospetto. Ciò che invece io trovo ingiustificato è l’atteggiamento del Parlamento sull’autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini per la nave Open Arms.

Ovvero?

In una situazione analoga, a fronte di una autorizzazione negata, il Parlamento ha invece preso una strada contraria. È una cosa brutta, perché la giustizia non può ubbidire a ragioni politiche. Il giudizio del Parlamento, proprio in quanto difforme dal primo, è squisitamente politico anche a fronte di una richiesta di archiviazione della Procura di Catania: ciò non lo trovo sospetto, ma non certamente positivo.

Il Pd ha perso il suo spirito riformista accettando tutti gli spunti grillini sulla giustizia? Questo il più grande errore di Zingaretti?

Il Pd ha sempre avuto due anime sul tema: una più giustizialista ed una garantista e riformatrice. Accettando l’alleanza con i grillini ha detto sì ad una subordinazione giustizialista, lo si è visto con lo scandalo della prescrizione che, come tutti immaginavamo, è stata approvata senza una contemporanea riforma della giustizia come era stata promessa, nonostante le proteste solo formali dei dem. In questo modo il partito ha dimostrato di aver accettato la deriva giustizialista dei grillini.

Il garantismo per essere un criterio di azione politica come va declinato? E come smontare le pulsioni giustizialiste che fanno perdere lucidità?

È molto semplice: andrebbe declinato secondo il dettato costituzionale, che prevede la presunzione di innocenza. Essa purtroppo è diventata, soprattutto per chi riveste cariche politiche, presunzione di colpevolezza sin dal momento dell’iscrizione nel registro degli indagati e della spedizione dell’informazione di garanzia che, come tutti dovrebbero sapere, è un atto dovuto. Invece la politica ne ha approfittato per cercare di eliminare, per via giudiziaria, i rivali che non riesce a sconfiggere nel confronto elettorale. Quindi il garantismo è semplice da comprendere ed applicare: una persona è innocente fino alla sentenza definitiva, potrei aggiungere salvo casi particolari di reati in flagranza. Soprattutto non dovrebbero esserci conseguenze politiche.

Cosa comporterebbe per il sistema italiano la vittoria del Sì al referendum?

Due effetti. In primis una delegittimazione politica del Parlamento perché non si è considerato abbastanza a fondo che non si tratta solo di una nuova legge elettorale, bensì di una riforma costituzionale. Nel momento in cui avessimo con il sì una nuova Costituzione ci troveremmo dinanzi ad un Parlamento che in una composizione è incompatibile con quella prevista dalla stessa Costituzione. Anche se si può ammettere una prorogatio di una nuova legge, è politicamente difficile concepire che un Parlamento possa andare avanti per altri due anni e mezzo quando la stessa Costituzione lo vorrebbe in una composizione diversa.

E il secondo?

È di ordine giuridico e pratico: se un domani prossimo prima che intervenissero, ammesso che lo facciano, una adeguata riforma delle circoscrizioni elettorali ed una nuova legge elettorale, dovesse cadere il governo e fosse impossibile ricostituirne un altro, ci troveremmo davanti all’impasse insolubile. Ovvero dover andare a votare con una nuova Costituzione ed una nuova composizione parlamentare ma con circoscrizioni elettorali che erano state fatte tenendo conto di un rapporto numerico completamente diverso dall’attuale. Se giuridicamente si potrebbe sostenere che il Parlamento dura fino alle successive elezioni, politicamente invece si apre un problema sulla legittimazione di quel Parlamento.

Come risolvere il puzzle?

Se si dovesse votare prima dell’introduzione della nuova legge elettorale e della revisione delle circoscrizioni, avremmo due sistemi incompatibili. Su questo punto mi attendo una risposta, a meno che non si dica che sarebbe impossibile sciogliere le camere: in quel caso osservo che saremmo in presenza di una grave limitazione dei poteri del Presidente della Repubblica. Uno scenario che non oso nemmeno immaginare.

Come si è giunti a questo imbuto?

Siamo arrivati a questo punto perché ci si è supinamente accodati ad una sortita emotiva del M5S, che ha fatto della riduzione dei parlamentari una bandiera di identità. Poiché i sondaggi, anch’essi emotivi, davano scontata la vittoria del sì, i partiti non hanno avuto il coraggio di opporsi a quella che sembrava un’idea diffusa. Se è pur vero che da parte dei grillini è stata una mossa demagogica, da parte degli altri partiti è stata una forma di acquiescenza.

Dimostra che l’Italia è irriformabile nei suoi punti nevralgici?

Le riforme importanti devono guardare al futuro, ovvero non solo il domani ma anche dopodomani. Soprattutto devono essere organiche e sistematiche: la classe politica attuale, molto miope, non solo non riesce a vedere al di là del proprio oggi, ma non ha nemmeno la stabilità per poter programmare con il tempo necessario le riforme adeguate che, per definizione, non possono essere fatte da un giorno all’altro.

twitter@FDepalo

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