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Il Libano, la Bielorussia e la forza geopolitica delle sanzioni. Parla Quercia (Unipg)

In questi giorni si parla molto della possibilità che l’Unione europea disponga sanzioni contro entità del governo bielorusso per la risposta alle manifestazioni: arresti, espatri forzati, repressioni, con cui le autorità di Minsk ha messo sotto stress valori e principi fondativi dell’Ue, come libertà e diritti. Formiche.net ne ha parlato con Paolo Quercia, docente di studi strategici all’Università di Perugia e direttore scientifico del think tank A World of Sanctions (Awos).

Si parla della possibilità che a finire sotto misure restrittive siano vertici del governo/regime, a quanto pare senza però arrivare al presidente Alexander Lukashenko: che tipo di azioni potrebbe prendere l’Europa?

Misure mirate, cosiddette targeted, contro persone fisiche selezionate e legate alle attività elettorali o di repressione. Divieto di rilascio di visti, congelamento di fondi bancari se in territorio Ue. Diciamo però che sanzioni europee contro la Belorussia sono già state applicate in passato nel 2004 e nel 2011 anche contro lo stesso Lukashenko e altre 170 persone, per violazioni dei diritti dell’uomo, frodi elettorali e per la sparizione di oppositori politici. Furono poi sospese negli anni seguenti in virtù delle aperture fatte dall’Europa alla Belorussia. Ad oggi rimangono poche persone fisiche sanzionate. In aggiunta alle misure personali vi è anche il divieto di esportare armamenti e materiali utilizzabili per la repressione interna. Diciamo che l’Europa potrebbe decidere di ritornare indietro. L’Unione Europea ha deciso di non riconoscere i risultati elettorali del 9 agosto, per cui nuovi provvedimenti restrittivi sono nell’aria. Vedremo se colpiranno più diretti responsabili della repressione delle proteste o se “saliranno” a livello politico per alzare il livello della sfida.

Sempre in questi giorni, da Berlino – che sta guidando la risposta europea su diversi dossier – si è alzata un’altra minaccia sanzionatoria molto forte: per il caso dell’avvelenamento dell’oppositore russo Alexei Navalny, parti della politica e del governo tedesco non hanno escluso la possibilità di agire contro il Nord Stream 2. Cosa potrebbe succedere e cosa c’è dietro a una misura così severa?

Sarebbe una decisione estremamente importante per Berlino, una vera inversione di rotta, perché una parte importante del sistema energetico e industriale tedesco è collegato con il progetto del North Stream 2. E Berlino dipende da un rapporto positivo con Mosca non solo per l’energia ma anche come mercato per la sua industria e per la sua sicurezza militare. La Germania però non ha le mani totalmente libere nel gioco sanzionatorio con Mosca in quanto la questione non è solo bilaterale e la Germania stessa è sotto ricatto di sanzioni americane, introdotte con il CAATSA nel 2017, nel caso in cui porterà a compimento il raddoppio del North Stream 2, arrivato quasi a fine realizzazione. Insomma, Berlino è tra l’incudine ed il martello e deve scegliere da che parte stare. E con gli ultimi episodi in Belorussia ed in Russia sta iniziando a credere che non è il momento buono per scegliere Mosca al posto di Washington, nonostante le tensioni che esistono con gli USA.

Restando sul tema sanzioni, ma spostandoci geograficamente, il governo statunitense ha sanzionato ieri i due ex ministri libanesi Ali Hassan Khalil e Yousef Fenianos per corruzione e per “aver facilitato l’agenda di Hezbollah”. È giusto colpire Hezbollah in questo momento così delicato per il paese dei cedri, e dunque seguire la visione di Washington, oppure la linea dovrebbe essere più accondiscendente come sembra ipotizzare Parigi?

È una decisione politica americana che l’Europa farebbe bene a non seguire, ma che fa parte di una strategia molto netta e chiara di isolare l’Iran e colpire i suoi alleati regionali, governi o entità non statuali, senza arrivare alla guerra. In questo le sanzioni sono uno strumento molto utile, efficace, dal basso costo e dalla buona resa. L’accordo storico Usa-Israele-Emirati Arabi Uniti ha però segnato una strada importante e che avrà ripercussioni in Libano, in Libia e nei Balcani. L’Europa farebbe un grave errore a sottovalutare questi sviluppi geopolitici. O è in grado di costruire una visione geopolitica alternativa, ma non pare, o farebbe meglio ad allinearsi all’azione americana. Nel Mediterraneo è la Turchia che sta cercando di creare una narrativa geopolitica alternativa, ma non possiamo ancora dire con risultati apprezzabili. E non so neanche bene se all’Europa convenga più il Mediterraneo di Trump o quello di Erdogan.

In definitiva, alla luce di questi ragionamenti, che bilancio possiamo fare dell’uso delle sanzioni?

Le sanzioni sono uno strumento di coercizione della volontà di altri soggetti senza ricorrere alla forza militare. In questo sono un ibrido tra la forza diplomatica e quella militare. Rispetto a 20 anni fa oggi hanno raggiunto un livello di sofisticazione e complessità notevole che le rende uno strumento chirurgico con cui ampliare enormemente il range dell’uso della forza. Usate da una grande potenza come gli Usa sono un formidabile strumento di politica estera, poiché sono supportate da un potere militare e da una chiara visione strategica. Bisogna però ricordare che sono uno strumento a cui non si può chiedere troppo. Ad esempio sono uno strumento poco adatto per realizzare un regime change. Infine, bisogna ricordare che spesso il vero target non è il Paese colpito ma i Paesi alleati a cui si chiede di pagare un prezzo economico per ridurre gli scambi economici tecnologici o militari con un Paese avversario. Su questo l’Europa dovrebbe fare più di una riflessione.

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