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Rimpatri no, solidarietà sì. Perché sull’immigrazione il compromesso è difficile

Rimpatri obbligatori no, solidarietà obbligatoria sì: come al solito il diavolo si nasconde nei dettagli. La riforma delle politiche migratorie dell’Unione europea, che dovrà sostituire il regolamento di Dublino, presenta molte novità che dovranno superare lo scoglio dei singoli Stati membri e certamente il dibattito non sarà facile.

LA PROPOSTA

Nella proposta del “Nuovo patto sulla migrazione e l’asilo” presentata da Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, non c’è l’obbligo di redistribuzione dei migranti come vorrebbe l’Italia e al suo posto c’è l’obbligo di gestire il rimpatrio di chi non ha diritto di restare in Europa, cioè la gran parte delle persone che arrivano via terra o via mare. In pratica, gli Stati membri che rifiutano di accogliere una quota di migranti sarebbero obbligati a gestirne il rimpatrio verso le nazioni di provenienza entro otto mesi oppure, se questo non fosse possibile, sarebbero obbligati a quel punto ad accoglierli sul proprio territorio. Ricollocamenti o rimpatri sponsorizzati, cioè finanziati da chi è contrario alla redistribuzione. Una lettura ottimistica porterebbe a dire che l’Italia al massimo dovrebbe ospitare per otto mesi molti di quelli che sbarcano sulle nostre coste, ma è difficile che gli Stati contrari ai ricollocamenti accetteranno anche questa soluzione.

GLI ACCORDI DI RIAMMISSIONE

La responsabile degli Affari interni, Ylva Johansson, infatti ha riconosciuto che degli attuali 24 accordi di riammissione in vigore “alcuni funzionano e altri meno”. Diciamo che la gran parte non funziona e quindi chi non vuole migranti sul proprio territorio sarebbe obbligato a prenderseli non riuscendo a rimandarli a casa. Il cancelliere austriaco, Sebastian Kurz, uno dei “duri”, ha reagito sostenendo che la redistribuzione dei richiedenti asilo ha fallito “e che molti Stati non la vogliono”. La proposta di Kurz si basa su “una migliore difesa delle frontiere esterne, lottando insieme contro i trafficanti e inviando aiuti ai Paesi di provenienza”. Difendere le frontiere sulla terra è molto più facile che in mare e di aiuti si parla da anni, ma al momento non c’è traccia del pacco di miliardi che sarebbe necessario. Gli dà manforte il ministro dell’Interno ceco, Jan Hamáček, confermando il no a qualunque redistribuzione obbligatoria anche a nome del gruppo di Visegrád (Repubblica ceca, Slovacchia, Polonia e Ungheria) e dei Paesi baltici. L’Ue intende fare pressione nei confronti dei Paesi terzi limitando il numero di visti in caso di scarsa collaborazione sulle riammissioni mentre il 1° gennaio comincerà l’attività del Corpo permanente della guardia di frontiera e costiera europea con 10mila unità a regime.

AIUTO AI PAESI DI PRIMO APPRODO

La riforma punta ad aiutare i Paesi di primo approdo, a cominciare da Italia e Grecia, e quel meccanismo di solidarietà automatico scatterebbe proprio nei confronti delle persone salvate in mare perché non ci saranno più “soluzioni ad hoc” a ogni sbarco, hanno detto von der Leyen e il vicepresidente della Commissione Margaritis Schinas, ammettendo che si tratta di una mediazione, un compromesso. Realismo che appare anche nelle parole del ministro agli Affari europei, Enzo Amendola, per il quale la trattativa sarà “complessa e delicata, ma l’Italia è in prima linea” e il presidente Giuseppe Conte sottolinea che “serve certezza su rimpatri e redistribuzione”.

CONTROLLO DEI MIGRANTI ALL’ARRIVO

Nella proposta della Commissione c’è una “procedura di frontiera integrata” in base alla quale ogni migrante all’arrivo viene sottoposto a screening sanitario e di sicurezza, rilevamento delle impronte digitali e, come già avviene, loro inserimento nell’Eurodac, European Dactyloscopie, il database con le impronte di chi chiede asilo politico e di chi è entrato irregolarmente in Europa. Johansson ha aggiunto che se il migrante ha già un parente nell’Ue, il Paese nel quale risiede sarà responsabile anche per il nuovo arrivato così come (ipotesi meno frequente) nel caso che il migrante abbia già lavorato o studiato in un Paese europeo. Nelle intenzioni della Commissione, l’identificazione deve avvenire entro cinque giorni e la domanda d’asilo dev’essere valutata in tre mesi. Nella realtà è un po’ più complicato.

“RESPONSABILITÀ E SOLIDARIETÀ”

L’appello di von der Leyen a gestire insieme le migrazioni “con un nuovo equilibrio tra responsabilità e solidarietà” rischia di non essere accolto in modo efficace. Secondo alcune cifre contenute nella proposta, la concessione dell’asilo ha toccato nel 2015 la vetta di 1,28 milioni scendendo a 698mila l’anno scorso. Ogni anno vengono respinte 370mila richieste, ma solo un terzo di queste persone è tornata a casa: significa che ogni anno circa 250mila migranti irregolari restano in Europa. Nella proposta sono previste anche norme speciali in caso di gravi crisi come quella del 2015, un’emergenza da 2 milioni di persone causata dalla guerra in Siria, ma è la “normalità” degli arrivi che dev’essere gestita da tutti.

LE ONG

Mentre a Bruxelles si discute di politica, la cronaca segnala due notizie interessanti. La nave Alan Kurdi ha lasciato le acque di Lampedusa non avendo ottenuto lo sbarco delle 125 persone a bordo e si sta dirigendo verso Marsiglia, il porto di provenienza. È forse la prima volta che una Ong decide di intraprendere autonomamente un lunghissimo viaggio (dovrebbe arrivare domenica), cosa che quelle organizzazioni si erano sempre rifiutate di fare negli anni scorsi. Il 19 settembre, invece, gli ispettori della Guardia costiera hanno sottoposto a fermo amministrativo la Sea Watch 4, di bandiera tedesca, che era nel porto di Palermo dopo aver trasferito un gruppo di migranti sulla nave quarantena Gnv Allegra. Sono state riscontrate 22 violazioni alle norme di cui alcune gravi. Nei mesi scorsi la Guardia costiera aveva fermato altre quattro navi Ong che spesso imbarcano un numero di persone molto maggiore al consentito e non rispettano elementari norme di sicurezza, costringendole a mettersi a norma. La legge è legge, ma forse questi ripetuti “fermi” sono anche un chiaro messaggio: la Alan Kurdi, che ora viaggia verso Marsiglia, era stata fermata all’inizio di maggio.

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