L’orrore siriano continua a sommergerci con i suoi rigurgiti di morte, come se il deserto non potesse sopportare più lo strazio che ha dovuto inghiottire per anni.
Infatti, proprio oggi si apprende che nel nord est del Paese, che fu sotto il tacco dell’Isis, nel corso di questi tre anni dalla “liberazione” sono state scoperte ben 28 fosse comuni. Lì ci sono i corpi di migliaia di civili sequestrati dai terroristi di al-Baghdadi. Lo documenta il Syria Justice and Accountability Centre, specificando che tre di queste fosse comuni sono collocate in strutture utilizzate al tempo come centri di detenzione dell’Isis, legittimando ulteriormente il timore che tantissimi detenuti dell’Isis possano essere stati uccisi mentre si trovavano in detenzione (qui è possibile vedere la mappa delle fosse comuni).
Le famiglie degli scomparsi non hanno però dalla coalizione anti-Isis alcun aiuto, anzi, da anni sono lasciate senza alcuna risposta né sostegno per conoscere il destino dei loro cari inghiottiti nel buio siriano. Nessun progetto di identificazione dei corpi è stato avviato nel corso di questi tre anni, i corpi rimangono dimenticati in queste fosse comuni e nei centri di detenzione.
Non mancano i dettagli agghiaccianti, come quello della fossa comune scoperta in un campetto dove giocavano i bambini di lì. I corpi rinvenuti in totale sin qui sono 4mila.
Di particolare rilievo è per noi italiani la notizia che alcune vittime sono state rinvenute da sole. Si potrebbe trattare, in base ai barbari rituali attribuiti all’Isis, dei corpi di detenuti non musulmani. È il caso di padre Paolo Dall’Oglio, che fu sequestrato dall’Isis nel 2013 e del quale più nulla si è saputo. In base alle superstizioni dei fanatici dell’Isis essendo cristiano andava sepolto separatamente. Ma nessuna richiesta risulta avanzata dalle autorità italiane neanche per esaminare questi pochi resti isolati e scoprire così se il nostro concittadino Paolo sia stato ucciso a Raqqa nel corso di questi anni.
Syria Justice and Accountability Centre lancia oggi una campagna per chiedere di processare i combattenti dell’Isis identificati e arrestati in Siria e nel mondo, al fine di raccogliere evidenze vitali sui sequestrati, gli scomparsi. Si tratta di migliaia di siriani, sebbene il numero effettivo sia ancora oggi difficile da determinare. Yasser Khamis, responsabile del team che lavora in loco, ha detto: “Dopo tre anni di lavoro ancora riceviamo tantissime domande dalle famiglie dei sequestrati sul destino dei loro cari. Il nostro dovere è dare loro una risposta. Dobbiamo identificare i corpi in modo da dare risposte”. C’è da essere certi che anche questo appello, però, non sarà ascoltato.