La formazione politica armata Hamas, che comanda la Striscia di Gaza, ha accettato di fermare lo scambio di attacchi e contrattacchi che da settimane va avanti lungo il confine israeliano. “È stato raggiunto un accordo per frenare l’ultima escalation e porre fine all’aggressione [israeliana] contro il nostro popolo”, ha dichiarato l’ufficio del leader di Gaza, Yahya Sinwar.
L’ultima escalation aveva visto la milizia palestinese lanciare palloni incendiari al di là del confine (più raramente razzi), a cui Israele ha risposto con una serie martellante di bombardamenti mirati. Si va avanti dal 6 agosto, quando la prima mini-mongolfiera imbottita di materiale esplosivo è caduta in un campo all’interno dello stato ebraico. Quattrocento sono stati gli incendi causati, danneggiando diverse aree coltivate. Israele ha colpito invece con mezzi militari pesanti.
Una fonte palestinese ha spiegato al Guardian che gli attacchi nelle aree costiere contigue alla Striscia (dove vivono centinaia di migliaia di israeliani) saranno immediatamente fermati: in cambio Israele accetta di riaprire le forniture di carburante a Gaza – servono per le autovetture, ma soprattutto per l’energia elettrica: a Gaza ultimamente la forniture era costante per non più di quattro ore al giorno.
L’aspetto più interessante è il quadro di mediazione extra-territoriale che si è formato per evitare che la crisi – in escalation – scivolasse verso un conflitto militare più ampio. La mediazione è stata raggiunta attraverso i diplomatici del Qatar e grazie a quella che il New York Times chiama “a cash infusioni”, un infuso di dollari per aiutare Gaza (e Israele di conseguenza). Doha è parte di un allineamento intra-sunnita che sposa le istanze della Fratellanza musulmana, insieme alla Turchia e in netta opposizione all’Islam dello status quo, rappresentato dai regni del Golfo.
E qui sta l’elemento particolare. Recentemente Israele ha normalizzato le relazioni diplomatiche con gli Emirati Arabi – un successo statunitense, che ha fatto da catalizzatore, un passaggio destinato a modificare le dinamiche all’interno del Golfo. Dove però Abu Dhabi mantiene – allineata con Riad – la posizione severa con cui il Qatar è stato messo anni fa sotto isolamento dei rapporti (politico/diplomatici, economico/commerciali e culturali). Se è vero che Doha ha da tempo un ruolo di ponte, in questo momento il dialogo tra Hamas e Tel Aviv triangolato dai qatarini acquisisce la dimensione di notizia nella notizia.
Anche perché una parte nel raggiungere il cessate il fuoco l’ha giocata anche l’Egitto, che è in una posizione di allineamento di interessi (il mantenimento dello status quo intra-sunnita e il confronto con la Turchia sul Mediterraneo) con Emirati e Arabia Saudita. Il Cairo e lo stato ebraico hanno relazioni aperte precedenti e come Doha parlano con Hamas. L’inviato qatarino a cui è affidata la gestione del dossier, Mohammed al-Emadi, ha viaggiato tra Cairo, Gaza e Tel Aviv per raggiungere la quadra della tregua.
Un’attività resa pubblica da Doha anche probabilmente come forma di spin politico. Il messaggio per il Qatar riguarda l’essere presente in certe dinamiche; Israele esce rafforzata, in grado di dialogare con entrambe le parti del mondo arabo sunnita ed entrambi i fronti del Golfo. La tregua attuale non risolverà da sola la crisi pluriennale, ma la congiunzione di interessi è comunque degna di nota (e di speranze).