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Adib lascia, il Libano è ingovernabile (anche per colpa di Hezbollah)

Il premier designato libanese, Mustapha Adib, ha rimesso l’incarico perché – ha spiegato in un discorso televisivo – non è riuscito a trovare un accordo tra i vari partiti e dunque non è in grado di formare un governo. Dopo le dimissioni di Hassan Diab, conseguenza dell’esplosione del 4 agosto che ha portato a nudo tutte le criticità del paese, Adib era stato nominato con il sostegno di un’ampia fetta di parlamentari (90 su 120), compreso l’assenso del gruppo estremista Hezbollah e del “Movimento del Futuro” dell’ex primo ministro Saad Hariri.

Il presidente, Michel Aoun, aveva scelto Adib – sunnita, diplomatico, colto ex ambasciatore in Germania dal 2013 – perché lo riteneva estraneo al peso diretto delle dinamiche politiche libanesi. La sua nomina era arrivata il giorno prima della seconda visita a Beirut di Emmanuel Macron dopo l’esplosione al porto: per questo era stato visto anche come una sorta di offerta di buona volontà con cui le forze politiche del paese cercavano di dimostrarsi affidabili agli occhi del presidente francese – che aveva promesso aiuti in cambio di un profondo processo di riforme.

Con la rinuncia di Adib, il Libano si dimostra di nuovo incapace di risolvere i propri errori – sostanzialmente legati alle divisioni politico-confessionali che hanno burocratizzato il paese, prodotto un insieme di roccaforti di potere, reso la corruzione endemica; con in più il grosso problema di Hezbollah, partito-miliiza che opera anche per conto dell’Iran e che ha creato una sorta di stato-nello-stato, una mafia parallela.

Venerdì, Adib aveva detto al presidente Aoun di non essere in grado di presentare nessuna formula di governo fattibile, dato che i vari partiti politici che inizialmente lo avevano sostenuto non era intenzionati a raggiungere un accordo. Una mediazione resa impossibile dall’assenza di una volontà di contatto e dall’interesse a perpetrare i loro agganci nel potere. I due si sono incontrati di nuovo questa mattina e, secondo quanto riporta l’agenza Nna, è stato in questo secondo meeting che Adib ha maturato la decisione definitiva poi annunciata pubblicamente.

Seguendo la richiesta arrivata anche da Macron, Adib intendeva formare un “governo di missione” rapidamente, nominando nell’esecutivo una serie di figure esterne alle dinamiche partitiche: persone “esperte e competenti” dalla quali far ripartire il paese. Parlava della “necessità di formare un governo a tempo di record e di iniziare ad attuare le riforme, con un accordo con il Fondo monetario internazionale (Fmi) come punto di partenza”.

Tutto naufragato, anche perché a selezionare Adib era stata quella stessa classe politica che il premier intendeva riformare. Per quanto noto, l’ostacolo principale lo ha posto proprio Hezbollah insieme all’alleato Amal, guidato dal capo del Parlamento Nabih Berri. Facendo leva sul sistema confessionale per la distribuzione delle cariche e sugli equilibri parlamentari i due gruppi chiedevano di controllare i dicasteri finanziari, da cui passeranno gli aiuti internazionali.

Adib ora subisce le critiche dei libanesi, che nel giorno della sua carica si erano avvicinati a lui mentre visitava uno dei quartieri di Beirut più colpiti dalla violenta esplosione al porto. Viene accomunato al suo predecessore Diab, che quando iniziò il mandato a gennaio prometteva di guidare un governo di tecnocrati indipendente dai partiti tradizionali. Diab non ce l’ha fatta, e ha pagato in prima persona con il simbolo della fragilità del Libano quando il paese è esploso insieme al porto della capitale.

Adib nemmeno ha potuto iniziare il suo progetto perché i partiti libanesi come Hezbollah raccolgono più interessi nel mantenimento dello status quo. Il Libano è un paese ben oltre l’orlo del baratro, ha problemi di ogni genere, ma all’interno persistono élite corrotte che con la propaganda riescono a mantenere le posizioni del potere e raccogliere ancora le proprie rendite. Indirettamente anche Macron incassa una sconfitta dal ritiro del premier designato: dimostrazione che l’influenza del francese su certe dinamiche è ben più limitata della narrazione che Parigi costruisce.

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