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Ecco cosa preoccupa Conte tra Bengasi e Tripoli

Una telefonata giovedì con Angela Merkel e un’altra mercoledì con Recep Tayyp Erdogan: centro delle conversazioni avute dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, il Mediterraneo. Particolare attenzione a quello che avviene nel quadrante orientale certamente, ma una contingenza più stringente chiama l’Italia: la Libia. Con due direttrici da seguire con massima attenzione e delicatezza.

La prima riguarda certamente il destino dei pescatori siciliani messi sotto sequestro dalle autorità di Bengasi – leggasi, da unità delle milizie che rispondono al comando di Khalifa Haftar. Il capo dei ribelli è attualmente confinato nella sua Cirenaica dopo essere stato respinto dalle forze del Gna, il governo onusiano di Tripoli che ha ricevuto aiuti dalla Turchia. L’azione contro i pescatori italiani potrebbe essere anche un messaggio acido. Haftar è stato per lungo tempo considerato un “interlocutore” da Conte e dall’Italia, ma ultimamente (complice la sconfitta, ma non solo) Roma si mostra più disinteressata. E dunque il libico manda segnali aggressivi, anche per ricordare alla Comunità internazionale che è ancora un attore presente nel dossier con cui fare i conti.

Già, perché la seconda questione che rende la Libia un fattore stringente per l’Italia riguarda il destino del Paese. Il premier e presidente del Consiglio presidenziale, Fayez al Serraj, ha annunciato l’intenzione di dimettersi (si parla di “intenzione” perché difficilmente si costruiranno in fretta le condizioni per cui la sua uscita di scena non lascerà un vuoto di potere, e dunque la timeline data, fine ottobre, potrebbe essere aggiornata e slittare). L’uomo scelto dall’Onu cinque anni fa per riunificare la Libia vorrebbe lasciare l’incarico se e soltanto se si riuscirà a costruire un percorso condiviso con la Cirenaica che possa stabilizzare il paese attraverso un nuovo Consiglio presidenziale che rappresenterà tutte le anime libiche, nuove elezioni parlamentari e nuovo governo.

Difficile che tutto sia possibile in un solo mese, in un round di trattative che si terrà a Ginevra dopo che un primo incontro – una decina di giorni fa in Marocco – si è concluso con un-avanti-piano-quasi-indietro e diversi esponenti politici che hanno declassato l’attuale fase negoziale a “contatti interlocutori” che non precludono niente sul futuro. Su tutto questo entra in gioco la Germania, torna in primo piano l’Italia e i pescatori, nonché la figura di Haftar. Partiamo da qui: dopo il naufragio della campagna di Tripoli, dalla Cirenaica è tornata forte la voce di Aguila Saleh, presidente del parlamento HoR riconosciuto dall’Onu, per lungo tempo sostenitore politico del capo-ribelle: ora Saleh ha in tasca un piano politico per la pace, e riceve sponsorizzazioni internazionali (da Egitto e Russia, partner di Haftar che stanno prendendo le distanze dal miliziano; ma anche dall’Ue, che pensa a togliere al presidente parlamentare le sanzioni alzate nel 2016 quando bloccava il processo del Gna e farlo muovere più liberamente ai tavoli).

La crescita mediatica e il riconoscimento che Saleh sta ottenendo sul piano extra-libico eclissano Haftar. Per esempio, nell’ultima visita in Libia la delegazione che quando si muovevano Ovest-Est era solita fare tappa anche al quartier generale haftariano per incontrare il signore delle guerra in qualità di interlocutore (come dicevamo), stavolta ha saltato l’appuntamento per vedere soltanto Saleh. C’è chi dice che il sequestro dei pescatori – catena debole delle relazioni – sia proprio diretta rappresaglia per questa sorta di sgarro diplomatico. Ecco dunque che il contatto con Merkel diventa cruciale, per due ragioni. Primo, dopo la conferenza di Berlino (e seguendo il ruolo istituzionale affidatogli dal semestre europeo e dal seggio temporaneo al CdS Onu), la Germania ha cercato di intestarsi la pratica libica (e quella di diversi dossier di politica estera in cui è coinvolta l’Ue).

Il dialogo è dunque importante per comprendere come spingere le dinamiche innescate con l’attuale fase e messe in subbuglio dall’inatteso annuncio di Serraj. Se infatti si procederà per un nuovo Consiglio presidenziale, allora una carica apicale sarà ricoperta da una figura della Cirenaica. E qui sta il secondo punto: quel ruolo è ovviamente detestato da Haftar – che non ha mai avuto progetti politici, nemmeno quando era considerato un interlocutore: lui vuole prendersi il paese con le armi. Ma è un ruolo che potrebbe anche forzare la mano sulla pratica dei pescatori, contro cui sta procedendo la giustizia (si fa per dire) di Bengasi e che potrebbero vedersi allungato il sequestro per diverso tempo. Contemporaneamente, il dopo Serraj non può non essere discusso con Ankara. Il premier libico finora era molto vicino a Roma, che ha pressato per insediarlo all’interno dell’Onu: ma le cose sono cambiate, e adesso lui e il suo governo rispondono con maggiore attenzione alle chiamate di Erdogan. Dalla Turchia passerà in parte il futuro della Libia, e dunque in parte anche quello dell’Italia in Libia.

 



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