La diplomatica americana Stephanie Williams, facente funzione dell’inviato speciale dell’Onu per la Libia, ha spiegato che soltanto nel mese di luglio 70 voli di rifornimento aereo e tre navi hanno raggiunto la Cirenaica — dove è arroccato il capo dei ribelli Khalifa Haftar con la sua milizia Lna (sostenuta dagli Emirati Arabi, Russia ed Egitto). Altri 30 sono arrivati in Tripolitania, dove si trova il governo onusiano Gna, difeso da Ankara dopo un accordo di cooperazione.
L’assistenza militare ai due fronti non si è mai fermata, nonostante in questo momento le armi siano congelate. Non si combatte, ma ci si rinforza. In Libia, fuori da ogni ipocrisia, è così: il fronte ribelle non ha mai fatto segreto che la soluzione dovesse passare dall’uso delle armi, dalla vittoria della guerra. Haftar ha lanciato una campagna militare ad aprile 2019 che soltanto quest’anno, a giugno, le forze del Gna sono riuscite a respingere. Anche in Tripolitania in molti pensano che l’eliminazione fisica del nemico sia una soluzione da cui passi la stabilizzazione. D’altronde, è lo stesso capo-miliziano a non accettare di farsi includere nel processo di contatto attuale. Accetta invece molto meglio i rinforzi ricevuti dagli sponsor esterni: su tutto in questo campo Abu Dhabi, poi Mosca e Cairo — entrambi più disponibili a mollare la presa militare, passare per la politica, condividere insomma una sfera di influenza nel paese concentrandosi sull’Est, lasciando dunque l’Ovest ai turchi.
L’ultimo report passato al Consiglio di Sicurezza parla di 350 voli partiti dalla base siriana di Hmeimim — snodo logistico e strategico russo in Siria — arrivati in Libia. Rifornimenti e militari privati della Wagner, che il Cremlino usa come forze speciali aggiunte, per il lavoro sporco clandestino. Altri cento sono quelli emiratini: aerei più o meno ufficiali, voli operati sia dai cargo dell’aviazione sia da compagnie private dell’Asia centrale. Sull’altro lato, numeri del tutto simili per Turchia e Qatar (ben più limitati per Doha, in realtà). Una circostanza notissima, costantemente tracciata dagli osservatori che seguono le open-source, perché chi manda gli aerei chiede che restino aperti i trasponder: probabile per rendere i rifornimenti un messaggio pubblico.
La situazione mette in imbarazzo chi come l’Europa ha sempre predicato che “la soluzione è solo politica”. Frustrazione in parte dimostrata in questi giorni al Cairo dall’Alto rappresentante Josep Borrel, che ha ammesso che il flusso di armi in Libia, in violazione di un embargo Onu esistente da anni, non si è mai fermato nonostante la presenza della missione “Irini”. Sforzo Ue per il controllo di questo che viene indicato come il principale fattore di destabilizzazione nel paese. La missione ha individuato dozzine e dozzine di violazioni, ma quello che manca è un sistema punitivo/sanzionatorio a supporto.
Mercoledì, parlando in audizione al Consiglio di Sicurezza, Williams è stata molto chiara: i due fronti si sono rafforzati, usando questa calma per rifocillarsi, e nonostante lo spin politico dietro alle dichiarazioni del premier e del presidente del parlamento (forma di contatto Est-Ovest), la guerra potrebbe ripartire più violenta di prima da un momento all’altro. “Gli sponsor stranieri stanno rafforzando le loro risorse nelle principali basi aeree libiche a Est e Ovest”, ha detto Williams: “La Missione (Unsmil, la missione Onu in Libia, ndr) continua a ricevere rapporti sulla presenza su larga scala di mercenari e agenti stranieri, complicando ulteriormente le dinamiche locali e le possibilità di un futuro accordo”.“La finestra di opportunità” per spingere la stabilizzazione e consolidare la tregua militare, secondo l’inviata Onu, esiste, ma è “fragile”.
(Foto: unsmil.unmissions.org)