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L’embargo militare in Libia è “totalmente inefficace”. La triste verità in un report Onu

Martedì l’Associated Press ha pubblicato in esclusiva informazioni su un report Onu riguardante la Libia e l’afflusso di armi dall’esterno. Niente di nuovo, nulla di eccezionale, tutto di preoccupante. I dati sono chiari: sul suolo libico arrivano armi per entrambi i fronti, e l’embargo che insiste sul paese dal 2011 per volere delle Nazioni Unite è giudicato “totalmente inefficace”. Chi segue la situazione nel paese questo lo sa bene, e lo registra con cadenza praticamente quotidiana.

Emirati Arabi, Russia e Giordania sono indicati come i Paesi che hanno sostenuto militarmente il capo miliziano ribelle Khalifa Haftar – e, almeno per ciò che concerne gli Emirati, lo stanno facendo anche in questi giorni. Turchia e Qatar sono invece le nazioni che hanno fornito al governo onusiano Gna gli strumenti militari per respingere l’assedio. Cosa c’è di nuovo? Niente, tutto piuttosto noto: d’altronde la scorsa settimana la delegata onusiana per gestire la crisi, Stephanie Williams, aveva avvertito che ci trovavamo davanti a “un punto di svolta”.

Da notare che Williams svolge il ruolo come facente funzione perché l’effettivo delegato, il libanese Ghassan Salamé, s’è dimesso, arrendendosi alle circostanze che avevano reso il contesto difficilmente controllabile – tra queste, il principale, l’afflusso continuo di armi. Finché i proxy locali saranno armati, la soluzione militare sarà sempre sul tavolo. È questo l’elemento centrale da valutare in questa fase in cui al pari di un procedere positivo dei contatti tra i due fronti, continua sotto traccia il rifornimento; e la fase di stop dei combattimenti sembra anche un momento per rifocillarsi.

“I trasferimenti di armi alla Libia da parte di questi due Stati membri (Turchia ed Emirati Arabi, ndr) sono stati ampi, sfacciati e con totale disprezzo delle misure sanzionatorie”, dicono gli esperti dell’Onu. Il punto è proprio questo: l’embargo sulle armi viene violato perché al momento non ci sono misure punitive che lo facciano rispettare. In questi giorni a Bruxelles è in corso una discussione su come implementare certe misure e rendere efficace la missione navale europea “Irini”, che integrata con la Nato ha come obiettivo il controllo dei rifornimento ai fronti libici.

Oggi, la nave tedesca “Hamburg”, supportata dalla fregata italiana “Margottini” hanno bloccato il mercantile  il mercantile “Royal Diamond 7” in acque internazionali a circa 150 chilometri a nord della città libica di Derna (in Cirenaica). Dirottata verso un porto dell’Unione Europea per ulteriori verifiche ed indagini, la nave era segnalata dal Panel of Experts dell’Onu per la Libia (lo stesso che ha redatto il report). Era partita dal porto di Sharjah negli Emirati Arabi ed era diretta verso Bengasi, centro di comando degli haftariani. Trasportava un carico di kerosene per aerei, destinato presumibilmente a scopi militari. Questo genere di carburante “viene considerato alla stregua di materiale militare dall’Onu e quindi trova applicazione la risoluzione 2292 (2016) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sull’embargo delle armi verso la Libia, confermata e prorogata dalla risoluzione 2526 (2020)”, spiega la nota della missione Irini.

In generale, comunque, le sanzioni sono un argomento molto delicato, perché sia la Turchia che gli Emirati Arabi, così come Qatar e Giordania sono partner dell’Ue con cui gli europei non intendono incrinare troppo le relazioni. Più facile che invece vengano colpite entità non statuali, come chi gestisce la Royal Diamond o come la russa Wagner. La società militare privata opera per conto del Cremlino, questo è ormai noto, ma sotto contratto. Ha spostato in Libia dagli 800 ai 1200 contractor e gestisce formalmente i caccia che si trovano alla base di Al Khadim (dove sono presenti anche gli emiratini) e Al Jufra. Uno di questi aerei, un Mig-29, è precipitato nei giorni scorsi.

Con la Wagner sono state indicate altre dieci società private, tutte accusate di aver rifornito Haftar. Sono società del Kazakistan, della Siria, dell’Ucraina e del Tagikistan e due compagnie degli Emirati Arabi Uniti, che si sono occupata di gestire i voli cargo che hanno portato in Libia il materiale destinato ai ribelli. AP precisa di aver chiesto spiegazioni alle missioni diplomatiche all’Onu di tutti questi paesi, ma di non aver ricevuto nessuna risposta se non dalla Turchia. Ankara, attraverso un funzionario anonimo, ha fatto sapere che le accuse di violazioni dell’embargo contro i turchi sono “prive di fondamento”. Il governo turco rivendica un accordo di cooperazione siglato con il Gna, che considera sovrano in Libia e dunque al di fuori dei limiti imposti dall’embargo Onu – precedente alla sua creazione.

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