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Libia, ecco come il vicepremier Maiteeg ha fatto ripartire il petrolio

Il Comando Generale di Bengasi ha annunciato che l’accordo per riprendere la produzione e l’esportazione di petrolio, annunciato oggi, venerdì 18 settembre, è arrivato “per garantire il futuro della Libia”. Tradotto: le forze ribelli guidate da Khalifa Haftar, che da gennaio tengono sotto chiave i campi, hanno accettato di riaprire le produzioni. Una decisione che arriva attraverso la cruciale mediazione politica del vicepremier libico, Ahmed Maiteeg, che nei giorni scorsi è stato prima ad Ankara (che protegge il governo onusiano Gna) e poi a Sochi (sul Mar Nero russo) dove sotto l’egida del Cremlino ha incontrato uno dei figli del capo miliziano della Cirenaica.

Sono questi due incontri che hanno portato Maiteeg a un successo diplomatico formidabile, di cui in pochi sapevano. Spiazzate diverse cancellerie europee, spiazzati altri componenti del governo libico. Per primo, secondo le informazioni raccolte da Formiche.net, il premier dimissionario Fayez al Serraj, che intanto oggi ha ricevuto una sorta di benservito dal presidente turco Recep Tayyp Erdogan: “È triste per noi sentire della decisione di Sarraj di dimettersi. Questa settimana la Turchia terrà colloqui con il governo libico su questo tema”.

Una dichiarazione che significa innanzitutto che la scelta del premier libico è arrivata all’insaputa dei turchi, circostanza non certo gradita ad Ankara, che però dimostra capacità di riorganizzarsi. L’intesa sul petrolio raggiunta da Maiteeg dopo una fitta serie di incontri, e dopo otto giorni di visita nella capitale turca, può essere un indizio sul futuro post-Serraj? Certamente il vicepremier, espressione della linea moderata dei politici di Misurata, porta in dote questo accordo – fondamentale per il futuro economico del Paese – e la capacità non da poco di dialogare con tutti i vari attori impegnati sul teatro libico.

Dalla Turchia, chiaramente, alla Russia e ovviamente anche con Egitto – senza il quale l’intesa petrolifera non sarebbe stata raggiunta – e Stati Uniti, che da molte settimane hanno aumentato l’insistenza sulla necessità di arrivare a una quadra sulle produzioni; considerato l’elemento cruciale, anche dall’Italia (molto interessata in questi giorni al dossier), per portare prosperità nel paese e dunque dare sostanza all’attuale tentativo di stabilizzazione che si muove sotto dinamiche intra-libiche sostenute dall’Onu e da Ue e Usa.

Non ultimo, Maiteeg – che riveste anche il ruolo di vice del Consiglio di Presidenza del Governo di Accordo Nazionale – oggi ha incassato anche il commento positivo dal portavoce di Haftar, che per lungo tempo ha spinto la propaganda con cui i ribelli hanno cercato di rovesciare il governo onusiano. “Ci auguriamo che durante questo periodo tutte le misure saranno prese nel quadro del dialogo interno libico-libico sotto la guida di Ahmed Maiteeg e che saranno attuate nell’interesse del popolo libico e del futuro della Libia”.

Il punto centrale dell’intesa è l’aver messo insieme tutte le anime libiche attraverso l’accordo sulla necessità di redistribuire i proventi su tutto il territorio – condizione espressamente richiesta da Haftar, che ha problemi di tenuta nell’Est, dove la sua linea militarista è stata sostituita in peso diplomatico internazionale da quella dialogante avanzata dal presidente del parlamento HoR, Aguila Saleh, un tempo partner politico del miliziano e ora considerato l’alternativa potabile anche dagli sponsor haftariani come Egitto e Russia.

Secondo le informazioni disponibili, Maiteeg sarà alla guida del comitato congiunto che si occuperà di distribuire i proventi tra Est, Ovest e Sud libico. Negli otto mesi di fermo delle produzioni, i barili giornalieri sono calati dagli 1,2 milioni a poco più di 80 mila: questo significa che il paese in termini economici ha perso circa 10 miliardi di entrate petrolifere, alle quali vanno aggiunte quelle dell’indotto. Secondo quanto dichiarato dalle forze haftariane, che è stato il più grosso ostacolo finora, il meccanismo verrà testato intanto per un mese e si porterà dietro anche la riduzione della presenza dei mercenari russi della Wagner, che Haftar aveva fatto entrare per sigillare i pozzi.


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