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Il pressing Ue sulla Bielorussia è un segnale per Mosca?

La “flagrante violazione di tutti gli standard riconosciuti a livello internazionale” di cui il Parlamento europeo parla riguardo alle elezioni in Bielorussia è un avviso che arriva tanto a Minsk quanto a Mosca. La massima assise Ue ha avanzato una richiesta propositiva: condannando allo stesso tempo le violente repressioni delle manifestazioni di piazza che si sono svolte a Minsk e in tutte le principali città del Paese, ha chiesto sanzioni dirette contro Aleksander Lukašenka. Ha inoltre respinto i risultati ufficiali delle “elezioni presidenziali” con un voto schiacciante, 574 sì, 37 no (82 astensioni: da notare che tra questi ci sono gli europarlamentari della Lega, scelta che si è portata dietro le reazioni pesanti della altre forze politiche italiane). Ha annunciato che dal 5 novembre, giorno in cui scadrà ufficialmente il mandato di quello che viene chiamato “leader autoritario”, il Parlamento Ue non ne riconoscerà più l’autorità. Nuove elezioni “il prima possibile” dovranno essere condotte sotto “la supervisione internazionale”, secondo i parlamentari europei, che annunciano anche di supportare “i cittadini bielorussi che manifestano per la libertà e la democrazia” oltre a “condannare la repressione di Internet e dei media”.

Si tratta di una mossa nuova per la storia recente (ma non unica): già in varie altre tornate Lukašenka aveva forzato la vittoria, aveva ricevuto in cambio sanzioni, ma anche allentamenti delle stesse. La questione sulla Bielorussia ha ruotato attorno al gioco su due tavoli del presindetissimo: da una parte apriva uno spiraglio all’Europa e all’Occidente, dall’altra manteneva il collegamento col Cremlino cercando di non esserne fagocitato. Tutto cambiato in fretta, perché dopo le ultime presidenziali il batka s’è trovato solo a combattere contro il suo popolo e Mosca ha rapidamente recuperato terreno sulla Russia Bianca come unico interlocutore rimasto vicino a Lukašenka. Vladimir Putin, che ha incontrato il bielorusso nei giorni scorsi, ha usato il linguaggio del corpo durante il meeting – avvenuto fuori dal Cremlino, nell’informità del buen retiro di Soči – per esplicitare la sua visione. L’ultimo dei dittatori europei è sacrificabile in quanto tale, ma non in quanto sistema e struttura che regge il paese. Non conta tanto chi, ma per Mosca è fondamentale stringere la presa e la presenza su Minsk: è fondamentale che venga lasciata alla guida del paese un meccanismo controllabile. Con il risultato positivo – in termini di presa sul potere, non di consenso – delle regionali in tasca, Putin guardava in faccia l’altro non come a un leader internazionale, ma come il Ceo ascolta l’addetto commerciale che non riporta più le commesse, ma che per ora non si può licenziare.

Putin ha dato 1,5 miliardi di dollari di prestito per aiutare il Paese a stabilizzarsi: soldi investiti per recupera la tranquillità giusta prima di cambiare leadership. L’interesse geopolitico russo ruota adesso attorno alla delegittimazione della piazza: un qualsiasi cambiamento in questo momento sembrerebbe ascoltarne le istanze, aprendo un pericoloso precedente che potrebbe diffondersi in Russia. Mosca cerca di proteggere la sfera di influenza. Ora difende Lukašenka per non farlo precipitare in mano alla piazza, ma quando servirà venderà la sua testa pur di mantenersi vicino il popolo cugino e per tenere le mani sugli interessi che si creeranno dietro una successione da pilotare. Due esempi: primo, il governo russo pressa perché le ingerenze dall’esterno siano respinte e affinché si segua il percorso di riforma costituzionale sul quale lo stesso presidente è stato convogliato (a forza, chiaramente); secondo, la spedizione di un lotto consistente di fiale di vaccino anti-Covid per dimostrare che Mosca è amica dei bielorussi (esplosi contro Lukašenka anche per la cialtroneria gestione della pandemia).

E allora ecco che la spinta del Parlamento europeo – che apre la strada per decisioni esecutive nei prossimi giorni? – diventa una reazione alle dinamiche russe. Bruxelles prova un gioco forte, che potrebbe raddoppiare con sanzioni contro la Russia sommando l’appoggio fornito a Lukašenka col caso-Navalny. Ossia dimostrando ai bielorussi che a Mosca c’è solo interesse geopolitico e non reale riguardo alle sorti del paese. Il rischio, chiaramente, è l’effetto boomerang. Fin tanto che le bandiere europee e statunitensi non sono apparse in piazza, che i moti fossero una sincera risposta del popolo poteva essere più che credibile. Successivamente s’è creato lo spazio per la narrativa propagandata da Minsk, ossia che tutto è stato organizzato dall’esterno. Chiaro che non sia così, o meglio che non sia solo così:perché la spinta dei paesi confinanti, i più interessati, c’è, ma non è così sostanziale. Ma tanto basta a Mosca per rimbalzare quel genere di storytelling; e per essere più credibile coi bielorussi aggiunge un pizzico di comprensione e l’attivazione del percorso per superare il batka.

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