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Andare sulla Luna con gli Usa. L’impatto geopolitico spiegato da Spagnulo

In un momento storico di crescente competizione extra-atmosferica, il joint statement tra Italia e Stati Uniti assume “una notevole valenza geopolitica”, a cui tuttavia occorrerà dare “un concreto prosieguo strategico”. Parola di Marcello Spagnulo, ingegnere, analista aerospaziale, presidente di Marscenter e autore di Geopolitica dell’esplorazione spaziale (Rubbettino, 2019), in cui ha dedicato un capitolo proprio al tema del possibili viaggi futuri verso Luna e Marte. Formiche.net l’ha raggiunto per commentare la firma di ieri tra il sottosegretario Riccardo Fraccaro e il numero uno della Nasa Jim Bridenstine sulla dichiarazione d’intenti che getta le basi per la partecipazione italiana ad Artemis, l’ambizioso programma americano per tornare (e restare) sulla Luna.

Ingegnere, è una firma importante per lo Spazio italiano?

Senza dubbio alcuno. Da parecchio tempo scriviamo che per l’Italia sarebbe stato molto importante riallacciare un importante collegamento strategico e industriale con gli Stati Uniti, sia per riequilibrare determinati rapporti di forza in seno all’Agenzia spaziale europea (Esa), sia per congelare gli accordi firmati dall’Asi nel 2016 con la Chinese Academy of Science. Ora sembra che questo passo si sia concretizzato, quantomeno a livello di dichiarazione di intenti. Ricorderei infatti che di questo si tratta, e per quanto importante e significativa, deve essere sostanziata con specifici implementing agreements che devono essere siglati nei prossimi mesi.

Il segnale sembra comunque chiaro.

Certo. Ora il framework istituzionale di riferimento c’è, e questo è molto importante. Non dimentichiamoci che nei prossimi giorni il segretario di Stato Mike Pompeo sarà per la seconda volta in un anno in Italia, e non c’è dubbio che la firma di questo “Joint statement” proprio ora possa essere solo di buon auspicio per le mutue relazioni sui vari temi in agenda. Mi lasci dire un’altra cosa. L’Italia è il terzo Paese dopo Canada e Giappone a siglare una dichiarazione di intenti di questo tipo, sarà molto importante quindi farlo valere in sede europea, Esa e Commissione a Bruxelles.

L’Italia ha le capacità per essere protagonista di Artemis?

A livello industriale senza dubbio, ma il tutto sarà negoziato negli “implementing agreements” anche sulla base delle risorse che l’Italia investirà. Recentemente è stato dichiarato un investimento di 1,2 miliardi di dollari, ma (e questo lo dicono gli americani) non è ancora chiaro se ciò include precedenti impegni del governo italiano nei programmi di esplorazione dell’Esa o nuovi investimenti dedicati. Alla scorsa ministeriale Esa il nostro Paese investì molto, e praticamente da solo, sui programmi di esplorazione Esprit e soprattutto iHab che dovevano essere aggiunti al Gateway (che ricordo è una stazione orbitante e non un lander) e quindi come vede molto dipende dal livello di risorse che saranno concretamente dedicate. È chiaro che le capacità industriali sono indubbie e consolidate per esempio nei moduli pressurizzati, ma ci potrebbero essere anche opportunità per tecnologie nuove, penso a sistemi espandibili oppure alle idee esposte dal generale Roberto Vittori per iniziative tecnologiche innovative a basso costo da svilupparsi con Pmi e accademie. Sarebbero sistemi o sotto-sistemi magari non a “impatto vitale” come direbbe la Nasa, ma comunque in grado di dare importanti ricadute per noi.

Si può immaginare anche il ritorno economico di programmi simili?

Mah, francamente qui non saprei dare una risposta che non sia simile a una previsione meteorologica relativa al prossimo Natale. Vedo che la Nasa ha da poco pubblicato un rapporto sui ritorni economici che parla di 300mila nuovi posti di lavoro e 60 miliardi di dollari di “economic output”, però tutto ciò ha un suo valore nelle assunzioni che si fanno. Se riprendiamo le stime economiche degli anni novanta sui ritorni della Stazione spaziale internazionale (Iss) forse troviamo cifre comparabili, ma oggi misurarle è praticamente impossibile. Però, da vent’anni la Iss ha permesso di effettuare oltre 2.500 attività di ricerca e sviluppo generando più di 2.100 pubblicazioni scientifiche in moltissimi settori. Come valutare economicamente tutto questo? Eppure è un volano enorme di generazione del valore.

La dichiarazione d’intenti sembra anche una presa di posizione a livello geopolitico. La nuova corsa allo Spazio è più competitiva rispetto al passato?

Questo è l’aspetto più interessante secondo me. Se, come ci si augura, si procederà con buoni risultati alla definizione degli “implementing agreements” con la lista delle attività e delle risorse associate, questo vorrà dire una decisa presa di posizione nazionale nella geopolitica dello Spazio, cioè Stati Uniti e non Cina. La nuova corsa allo Spazio è più agguerrita, perché negli Usa si stanno affermando iniziative private con propri fini commerciali che nel contempo supportano gli obiettivi geopolitici del governo. La militarizzazione dello Spazio, purtroppo, non è un prossimo futuro ma è già il presente e i programmi di sbarco lunare sono sì a forte impatto mediatico, ma proprio per questo “mascherano” obiettivi strategici.

Gli Stati Uniti alla fine riusciranno secondo lei a tornare sulla Luna entro il 2024?

Credo dipenderà dall’esito delle elezioni presidenziali di novembre. Una bozza della piattaforma 2020 del Partito Democratico ci suggerisce che un’amministrazione guidata da Joe Biden potrebbe apportare pochi cambiamenti importanti nei programmi della Nasa, ma non si trova una esplicita approvazione a uno sbarco sulla Luna nel 2024. Mentre se si confermasse l’attuale amministrazione, credo che l’indicazione presidenziale sarebbe per una decisa accelerazione.

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