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Petrolio e governo, perché Tripoli è in subbuglio

difesa

Il consigliere del presidente della Camera dei rappresentanti della Libia, Aguila Saleh, ha dichiarato ad Agenzia Nova che “un nuovo Consiglio presidenziale e di un nuovo governo” saranno scelti durante la riunione intra-libica che a ottobre si terrà a Ginevra. L’obiettivo dei parlamentari dell’HoR che ancora rispondono a Saleh è che il nuovo corpo istituzionale “includa un presidente, due vice e il governo con un premier e due vice. Il presidente e i vice del consiglio e del governo rappresenteranno le tre maggiori regioni libiche: la Cirenaica, Fezzan e la Tripolitania”, dice all’agenzia stampa italiana.

Saleh presiede un organo rappresentativo riconosciuto dall’Onu in quanto è l’ultimo elettivo, ma ha sempre avuto una posizione avversa al Gna, il Governo di accordo nazionale che le Nazioni Unite hanno creato e promosso per rappacificare il paese. Ma adesso il presidente parlamentare è un attore centrale, perché ha intrapreso una via di contatto con il governo libico per riunire le istituzioni. Una forma dialogante di stabilizzazione che è sostenuta da tutti gli attori che si muovono sul dossier — eccezion fatta per gli Emirati Arabi, che puntano ancora sulle ambizioni militari di presa del paese del capo miliziano dell’Est, Khalifa Haftar, eclissato dalla sconfitta Made in Turchia nella campagna di Tripoli e superato a destra dall’iniziativa politica di Saleh. “Il ruolo fondamentale del Consiglio presidenziale e del nuovo governo è di convocare elezioni parlamentari e presidenziali nonché di fornire servizi e strutture base per i cittadini libici”, ha spiegato il consigliere di Saleh a Nova.

Di questa fase transitoria — la cui durata è prevista in 18 mesi — aveva parlato anche l’attuale presidente del Consiglio e premier, Fayez al Serraj, annunciando l’intenzione di dimettersi. Serraj ha dichiarato che lascerà solo se da Ginevra usciranno notizie confortanti sul futuro. Possibile che le buone intenzioni dichiarate dall’uomo di Saleh e auspicate da Serraj naufraghino.

Ormai mollato da Ankara (principale sponsor internazionale del Gna), il premier libico ha però più poche frecce al proprio arco e recentemente è stato scavalcato da una mossa determinante del suo vice, Ahmed Maiteeg, che ha chiuso personalmente la quadra per far ripartire il petrolio. Il primo vicepresidente del Consiglio libico ha trovato un accordo spiazzante con Turchia e Russia e con Haftar.

L’intesa per far riprendere le produzioni accetta compromessi con le forze ribelli, ma mette spalle al muro i vari attori libici; soprattutto a Tripoli. Haftar ha accettato di liberare i campi pozzi che aveva fatto occupare dalle sue unità, e pure la Russia — che vi aveva fatto spostare uomini della Wagner, i contractor schierati dal Cremlino sul lato haftariano — sembra accettare l’intesa è il ritiro. Oggi il gruppo di contatto con la Libia del ministero degli Esteri di Mosca terra un video-meeting con le forze (politico-miliziane) tripoline per chiedere che aderiscano all’intesa. Sul sito del ministero russo è stato pubblicato uno statement che avalla l’accordo.

In queste ultime ore ci sono state voci su boicottaggi a Maiteeg e critiche velenose sul suo destino politico. L’accordo sul petrolio — parte fondamentale della fase di stabilizzazione in corso, lodato per il coraggio anche dall’inviato speciale per i contatti con Tripoli del parlamento HoR — è osteggiato da alcune milizie vicine alla Fratellanza musulmana, che non accettano mediazioni con Haftar. L’intesa, arrivata nei giorni critici in cui Serraj annunciava la volontà di dimettersi, ha mostrato le spaccature all’interno della Tripolitania e messo spalle al muro le strutture. Far ripartire le forniture è una necessità per i libici (finiti anche oggi sotto un black out elettrico completo a Tripoli perché manca il carburante per mandare le centrali e privati in questi mesi di miliardi di introiti petroliferi). La forza politica dimostrata da Maiteeg è di aver addossato su chi osteggia l’intesa trovata la responsabilità di respingere una soluzione popolare — e l’obbligo di trovarne in fretta una migliore ed efficace, anche sotto la pressione di Stati Uniti ed Europa.

 

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