Dopo il golpe del 18 agosto che ha portato al potere la giunta militare, il Mali ha un nuovo premier designato, Moctar Ouane, un civile, nominato con l’incarico di guidare una fase di transizione e stabilizzazione del Paese. Sessantaquattrenne, già ambasciatore alle Nazioni Unite e ancora prima ministro degli Esteri, Ouane ha due primari obiettivi: farsi eliminare le sanzioni imposte dopo il colpo di stato della Cedeao (l’organismo economico che raccoglie i paesi dell’Africa occidentale) e ristabilire il dialogo pieno con i partner internazionali (su tutti gli europei).
La nomina di un primo ministro civile era una delle condizioni imposte dai partner regionali per l’eliminazione delle misure sanzionatorie: Ouane lo è e nelle sue mani c’è la possibilità di garantire che questo governo di transizione abbia successo agli occhi dei capi di stato dell’Africa occidentale che hanno imposto sanzioni che hanno paralizzato l’economia maliana. Tolte le sanzioni potrà riaprire le scuole e far funzionare a pieno ritmo gli ospedali, evitare i blackout elettrici e riportare in funzione gli acquedotti. Attività che a causa del blocco economico in alcune parti del paese si sono fermati. Riavviarle porterà indubbio consenso al premier.
Il presidente ad interim, Bah Ndaw, colonnello maggiore congedato ed ex ministro della Difesa messo nel ruolo dai golpisti la scorsa settimana, ha detto che la nomina di Ouane dimostra “la determinazione dei maliani a realizzare una transizione stabile, pacifica e di successo alle condizioni e al calendario concordati”. Nell’arco delle prossime 48 ore il nuovo premier dovrà proporre i nomi per comporre l’esecutivo: nomi che dovranno unire la classe politica maliana, divisa su tutto, ed essere garanzia di affidabilità.
Alle forze politiche spetta anche di redigere, insieme al Movimento del 5 giugno – ispiratore del golpe – la Carta di transizione. Processo da portare avanti con serietà e senza “aggirare l’ostacolo”, come aveva scritto sul Monde l’analista Étienne Fakaba Sissoko dell’Università di Bamako a proposito della nomina di Ndaw – civile, secondo le richieste dalla Cedeao e della Francia, ma soltanto perché congedato.
Ouane potrà sfruttare anche i legami con la Francia, dove si è formato alla École nationale d’administration di Strasburgo: un fattore cruciale visto l’impegno di Parigi nella regione. I francesi spingono per la stabilizzazione perché l’aumento delle condizioni caotiche nell’area complica interessi e attività. Il Mali è uno dei paesi partner commerciali della Francia, che nella regione ha una forza di 5 mila militari inviati con la missione “Barkhane” attraverso la quale la Francia combatte il dilagare delle formazioni jihadiste nel Sahel (il Mali è uno dei paesi del “G5-Sahel”, raggruppamento multinazionale che comprende anche Burkina Faso, Chad, Mauritania e Niger e i cui militari seguono un coordinamento dai francesi).
Come ha spiegato Sissoko, per la Francia la crisi maliana – la seconda dall’inizio dell’operazione – è una necessità da risolvere e stabilizzare il prima possibile perché ogni volte che si è innescata una destabilizzazione in Mali è aumentata la forza delle unità jihadiste. È una questione di sicurezza nazionale, se si considera che recentemente Parigi ha subito minacce di attacchi terroristici dallo Stato islamico proprio connesse alle attività nel Sahel.
La wilayah dello Stato islamico nel West Africa è diventata particolarmente attiva, sommandosi alle unità qaediste. Una delle accuse che ha portato al golpe contro il governo maliano era di aver fatto poco sul terrorismo, che però sfrutta situazioni caotiche – come quelle di uno stato senza un governo e la crisi economica collegata alle sanzioni – per creare proseliti.