“Ho proceduto alla promulgazione (della legge di conversione del decreto Semplificazione, ndr) soprattutto in considerazione della rilevanza del provvedimento nella difficile congiuntura economica e sociale”. Così le agenzie hanno ripreso la lettera del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, indirizzata ai presidenti del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, della Camera, Roberto Fico, e del Consiglio, Giuseppe Conte.
Il rilievo del Capo dello Stato (che, espresso in questa forma, ha soltanto un significato politico di moral suasion, ma è del tutto privo di effetti giuridici) rivolge al Parlamento e al governo riguarda la mancanza di coerenza nei contenuti del provvedimento in cui è stata inserita la modifica di quindici articoli del Codice della strada, “che non risultano riconducibili alle predette finalità e non attengono a materia originariamente disciplinata dal provvedimento”.
Con tutto il rispetto e la stima verso il Presidente Mattarella, come supremo magistrato della Repubblica e come persona, anche in questo caso, come in precedenza, mi sono chiesto: perché il Presidente non si avvale della prerogativa costituzionale che gli consente di chiedere alle Camere una “nuova deliberazione” delle norme contenute in una legge, prima di compiere l’atto dovuto della promulgazione? Certo, si tratta di una scelta politica impegnativa, ma sicuramente di maggior effetto rispetto a un intervento posteriore all’atto conclusivo del processo legislativo (dopo il quale, perché la legge entri in vigore rimane soltanto la pubblicazione del testo nella Gazzetta Ufficiale).
L’articolo 74 della Legge fondamentale recita infatti al comma 1: “Il Presidente della Repubblica, prima di promulgare la legge, può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione”. Al comma 2: “Se le Camere approvano nuovamente la legge, questa deve essere promulgata2. Nella storia della Repubblica è capitato poche volte (credo due) che il Capo dello Stato si sia avvalso di questo potere. È comprensibile che il Quirinale abbia ritenuto, nel caso del decreto Semplificazione, il rilievo non tanto grave da bloccare un provvedimento importante.
L’osservazione di Mattarella non ha riguardato la sostanza delle modifiche al Codice della Strada ma l’opportunità di inserirlo in un testo non pertinente, dedicato a regolare altre materie. Ma non è stato sempre così. Dopo aver promulgato la legge di conversione del decreto Sicurezza bis, fortemente voluto (si potrebbe persino dire “imposto”) da Matteo Salvini ai tempi della maggioranza giallo-verde, il Capo dello Stato inviò una missiva ai Presidenti delle Camere e a Conte (in versione 1), dove erano contenuti delle osservazioni di sostanza: “Al di là delle valutazioni nel merito delle norme, che non competono al Presidente della Repubblica, non posso fare a meno di segnalare due profili che suscitano rilevanti perplessità”, scriveva infatti il presidente Sergio Mattarella, “rimettendo – come si legge in chiusura della missiva – alla valutazione del Parlamento e del Governo l’individuazione dei modi e dei tempi di un intervento normativo sulla disciplina in questione”.
Come riportavano le agenzie, Il Presidente Mattarella, nella missiva, segnalava, richiamando le disposizioni del diritto del mare, che non veniva meno l’obbligo di salvataggio dei naufraghi. Il Capo dello Stato sottolineava poi che “nel caso di violazione del divieto di ingresso nelle acque territoriali – per motivi di ordine e sicurezza pubblica o per violazione alle norme sull’immigrazione – la sanzione amministrativa pecuniaria applicabile è stata aumentata di 15 volte nel minimo e di 20 volte nel massimo, determinato in un milione di euro, mentre la sanzione amministrativa della confisca obbligatoria della nave non risulta più subordinata alla reiterazione della condotta”. “Osservo – proseguiva la lettera – che, con riferimento alla violazione delle norme sulla immigrazione non è stato introdotto alcun criterio che distingua quanto alla tipologia delle navi, alla condotta concretamente posta in essere, alle ragioni della presenza di persone accolte a bordo e trasportate. Non appare ragionevole – ai fini della sicurezza dei nostri cittadini e della certezza del diritto– fare a meno di queste indicazioni e affidare alla discrezionalità di un atto amministrativo la valutazione di un comportamento che conduce a sanzioni di tale gravità”.
Mattarella prendeva poi in considerazione la norma che rende “inapplicabile la causa di non punibilità per la ‘particolare tenuità del fatto’ alle ipotesi di resistenza, violenza e minaccia a pubblico ufficiale e oltraggio a pubblico ufficiale ‘quando il reato è commesso nei confronti di un pubblico ufficiale nell’esercizio delle proprie funzioni'”. “Non posso omettere di rilevare – scriveva il Presidente della Repubblica- che questa norma non riguarda soltanto gli appartenenti alle Forze dell’ordine ma include un ampio numero di funzionari pubblici, statali, regionali, provinciali e comunali nonché soggetti privati che svolgono pubbliche funzioni, rientranti in varie e articolate categorie, tutti qualificati –secondo la giurisprudenza- pubblici ufficiali, sempre o in determinate circostanze”.
Ad esempio Vigili urbani, addetti alla viabilità, dipendenti dell’Agenzia delle entrate, controllori dei biglietti di Trenitalia, direttori di ufficio postale, insegnanti delle scuole”. “Questa scelta legislativa – secondo il Capo dello Stato – impedisce al giudice di valutare la concreta offensività delle condotte poste in essere, il che, specialmente per l’ipotesi di oltraggio a pubblico ufficiale, solleva dubbi sulla sua conformità al nostro ordinamento e sulla sua ragionevolezza nel perseguire in termini così rigorosi condotte di scarsa rilevanza e che, come ricordato, possono riguardare una casistica assai ampia e tale da non generare ‘allarme sociale'”.
Infine Mattarella notava che l’esimente della tenuità del fatto, in modo non ragionevole, era invece mantenuta nel caso di oltraggio a magistrato in udienza, “anche questo un reato ‘commesso nei confronti di un pubblico ufficiale nell’esercizio delle proprie funzioni'”. Se il Parlamento avesse accolto questi rilievi nell’ambito di una ‘’nuova deliberazione” come richiesto attraverso un “messaggio motivato” ai sensi dell’art. 74 Cost. trasmesso prima della promulgazione, anche una maggioranza rozza come quella giallo-verde avrebbe incontrato molte difficoltà a sottrarsi ai rilievi del Quirinale e ad approvare nuovamente la legge nel medesimo testo di prima, senza modifiche, mettendo il Capo dello Stato nell’obbligo di promulgare ugualmente.
Così il governo di allora, avendo già accumulato il fieno in cascina, e si impegnò a rispettare queste indicazioni. Il Conte 2 ribadì questo proposito anche nel programma sul quale ottenne la fiducia. Ma è passato un anno e non è successo ancora nulla. È vero che i decreti sicurezza non vengono nei fatti applicati; ma quelle norme sono sempre in vigore fino a quando non saranno cambiate. Certo, non mi permetto di giudicare le decisioni del Capo dello Stato, che ha sempre dimostrato coraggio e determinazione, talvolta in totale solitudine. Mi pare, tuttavia, legittimo ritenere che un esercizio effettivo dei poteri riconosciuti dalla Costituzione – come quello di rinvio alle Camere prima della promulgazione di una legge – sarebbe più utile ed efficace dei richiami a posteriori nei confronti di leggi già approvate e dell’uso e dell’abuso della decretazione d’urgenza e dei Dpcm, sottratti ad ogni controllo.