I Paesi del Med-7 si vedono oggi in Corsica. Il gruppo composto da Francia, Spagna, Italia, Portogallo, Grecia, Cipro, Malta s’è riunito per la prima volta nel 2006 ed è nato come forum di discussione congiunta su uno dei problemi percepiti tutt’ora come prioritari dall’Unione europea: l’immigrazione. Le cose, rispetto alla prima riunione di Atene quattordici anni fa, non sono troppo cambiate sotto questo aspetto. Il Mediterraneo è ancora centro di flussi migratori, e la situazione non è affatto sotto controllo: basta pensare al penoso incendio al campo di raccolta di Moria, sull’isola di Lesbo – da dove migliaia di migranti sono stati costretti a fuggire, avvolti dalle fiamme.
Se sul quadro migratorio le questioni restano dunque aperte, l’incontro avrà comunque altre due tematiche di carattere geopolitico che escono dal topic nativo del gruppo, ma sono altrettanto – forse più – importanti. Quello che si tiene oggi ad Ajaccio sotto il format Med-7 è forse meglio descrivibile infatti come la riunione dei Paesi del Sud dell’Unione europea. Definizione che probabilmente rende più chiaro come all’orizzonte si staglino due questioni centrali. Una di carattere più contingente riguarda la situazione nel Mediterraneo, e guarda verso Ankara. L’altra, certamente dalle dimensioni più futuribili, riguarda appunto quel fronte del Sud intra-europeo, che già s’è visto muoversi compatto sulla sfide del Recovery Fund.
La questione contingente, la Turchia, è argomento che da settimane interessa la situazione nel bacino mediterraneo, soprattutto nell’area orientale. Ankara vuole prendere parte alla partita energetica e geopolitica che si sta giocando nell’East Med. Si muove con forza e aggressività, ha capacità di confronto rude con tutti gli attori in campo. Su tutti chiaramente Grecia e Cipro, spalleggiati dalla Francia, che vede nella Turchia il principale rivale competitivo a cavallo del Mediterraneo (con sfoci nel Nord Africa, chiaramente, area in cui le dinamiche geopolitiche francesi si dipanano da tempo, e in cui i turchi hanno una sfera di influenza in approfondimento). Distaccate Spagna e Portogallo, mentre l’Italia muove la diplomazia su entrambi i lati. Punti di caduta sono la Nato – che ha scontentato la delusione di Parigi perché non ha preso una posizione contro Ankara – e soprattutto gli Stati Uniti, che tutto vogliono meno che si crei una crepa nell’alleanza in quell’area così sensibile alle penetrazioni rivali (leggasi: Cina e Russia).
Sul quadro intra-europeo questo allineamento si specchia. Il fronte compatto significa la possibilità di creare presupposti ulteriori nelle dinamiche dell’Ue. L’Europa vede la Germania – guida del semestre a Bruxelles e temporaneamente nel Consiglio di Sicurezza Onu – intestarsi la gran parte dei dossier. La leadership in scadenza di Angela Merkel ha bisogno di una legacy ulteriore, e per questo Berlino conduce i giochi. Riscoperta potenza parziale – con tutti i limiti e le limitazioni di azione che Washington, Mosca e Pechino impongono – la federazione tedesca deve essere contenuta secondo la visione dei competitor interni (su tutti la Francia). La creazione del fronte meridionale già nella partita del Recovery Fund ha funzionato da contro-bilanciamento. Lo spostamento di quel fronte in modo compatto può essere d’equilibrio davanti a quello del Nord e all’altro dell’Est, entrambi i movimento come coorti.
Su entrambi i fascicoli, l’ospite odierno, il francese Emmanuel Macron, tenta di muovere il gioco. Gli incontro con l’italiano Giuseppe Conte e con le altre controparti del Sud-Europa hanno scopo di rassicurazione, quanto di messaggio – a Bruxelles e Berlino. Chiaramente assente per ragioni geografiche, la Germania guarda gli sviluppi dall’alto: iniziativa accolta con freddezza. Non la riunione sia chiaro, ma l’attivismo francese. Per Merkel, per esempio, il muso duro con Ankara non è percorribile per ragioni di connessioni storiche-economiche-culturali: nel tentativo di dialogo, la postura aggressiva francese contro Recep Tayyp Erdogan è un problema nel problema. E che la riunione di Ajaccio diventi un vertice in preparazione all’appuntamento – il 24 settembre – con cui l’Ue deciderà se sanzionare o meno la Turchia, lo è ancora di più.
”Noi europeo dobbiamo essere più uniti e fermi” contro la Turchia, “avere una voce più chiara”, contro quello che “non è più un partner”, colpevole di “pratiche inaccettabili” dalla Libia a Cipro, ha tuonato Macron. È la posizione con cui il francese rivendica quella che chiama “Pax Mediterranea”. Risposta da Ankara: il presidente francese “si è mostrato di nuovo arrogante”, e le dichiarazioni, “che alimentano le tensioni”, sono indice della “sua incapacità e disperazione”, secondo il governo turco.
Pax Mediterranea !
— Emmanuel Macron (@EmmanuelMacron) September 10, 2020
Da Atene e Nicosia il segnale francese è accolto come un aiuto, un’assistenza. Per Roma (e Madrid e Lisbona, in fondo) è ancora diverso. L’Italia non sembra intenzionata a prendere posizioni nette come quelle del francese sulla contesa mediterranea con la Turchia. L’Eliseo per “rivendicare la sovranità europea sul Mediterraneo”, come spiega in nota dietro all’incontro odierno, è disposto infatti allo sbilanciamento anti-turco anche per via di un allineamento extra-Europa con gli Emirati Arabi (nemici di Ankara e di già che rappresenta nel sunnismo). Roma no.
Per gli italiani la presa di posizione è impossibile e sconveniente: un approfondimento sui diversi motivi per cui la mediazione con Ankara (e non la rottura tra Ue e Turchia) è ancora interesse nazionale per l’Italia l’ha proposto su queste colonne l’ambasciatore Stefano Stefani, senior advisor dell’Ispi, già consulente diplomatico del presidente Napolitano e rappresentante permanente per l’Italia alla Nato: “In conflitto con le rivendicazioni turche sul Mediterraneo orientale, ma in sostanziale allineamento in Libia”, per Roma la via è la mediazione con la Turchia.