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Muraglia (anti)cinese. Così Trump blinda Taiwan

Gli Stati Uniti hanno in mente di vendere fino a sette principali sistemi d’arma — tra cui mine, missili da crociera e droni — a Taiwan. Lo riporta l’agenzia Reuters citando quattro fonti vicine al dossier sottolineando la concomitanza con gli sforzi dell’amministrazione statunitense guidata da Donald Trump per “aumentare la pressione sulla Cina”. 

Entro poche settimane la questione dovrebbe arrivare al Congresso di Washington. Coinvolte come aziende Lockheed Martin, Boing e General Atomics. I sistemi comprendono strumenti di sorveglianza ma anche armi di difesa navale e militare.

LA NOVITÀ

C’è un particolare nella ricostruzione della Reuters che potrebbe far schizzare in alto la temperatura tra Washington e Pechino: in passato gli Stati Uniti avevano calibrato attentamente le vendite di armamenti a Taiwan distanziandole nel tempo per “ridurre al minimo le tensioni” con la Cina; questa volta, invece, il pacco che partirebbe da Washington in direzione Taipei sarebbe ben più ricco e clamoroso.

Dopo la rielezione della presidente Tsai Ing-wen e l’inasprimento delle relazioni tra Stati Uniti e Cina, per i primi il rafforzamento della difesa di Taiwan è diventata una priorità assoluta. Il Pentagono parla di “Fortezza Taiwan” per definire l’obiettivo: creare un contrappeso militare alle forze cinesi e alle loro pulsioni espansionistiche nella regione.

LE ULTIME MOSSE DI PECHINO

La scorsa settimana Pechino ha condotto esercitazioni militari cinesi al largo della costa sud-occidentale di Taiwan definite nelle ultime ore un’azione necessaria per proteggere la sovranità della Cina da Ma Xiaoguang, portavoce dell’Ufficio cinese per gli affari di Taiwan. Che ha ribadito che l’Isola è una parte “sacra” e inseparabile della Cina.

Come evidenzia l’Agenzia Nova, la scorsa settimana Taiwan aveva denunciato incursioni di aerei militari cinesi per due giorni consecutivi nella zona di identificazione della difesa aerea dell’Isola. “Le attività di addestramento al combattimento da parte dell’Esercito popolare di liberazione sono state un’azione necessaria mirata all’attuale situazione della sicurezza nello Stretto di Taiwan e per salvaguardare la sovranità nazionale”, ha detto Ma in conferenza stampa. In un probabile riferimento agli Stati Uniti, il principale fornitore di armi di Taiwan e il suo più forte sostenitore internazionale, Ma ha detto che le esercitazioni erano anche finalizzate “all’interferenza delle forze straniere” e agli indipendentisti di Taiwan, non al popolo taiwanese.

LA DETERRENZA

Come ha spiegato in una recente analisi su Formiche.net Lucio Martino, membro del Guarini Institute for Public Affairs della John Cabot University, “da presidente, Trump si è ben presto trovato alle prese con il dilemma di come scoraggiare le ambizioni egemoniche altrui senza per questo ritrovarsi impantanato in un qualche conflitto. La sua soluzione è stata di riportare la deterrenza al centro della visione strategica statunitense, improntando le sue azioni a una così spregiudicata imprevedibilità da rischiare, non solo uno scontro armato che non vuole, ma anche di estraniarsi permanentemente vecchi e nuovi alleati”.

Un discorso che trova riscontro anche in quanto sta accadendo a Taiwan, che secondo alcuni funzionari statunitensi citati da Reuters non è (ancora) sufficientemente attrezzata per difendersi da Pechino.

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