Il confronto per il Nagorno Karabakh rischia di diventare in fretta una guerra su larga scala, con Armenia e Azerbaijan rispettivamente supportate da Russia e Turchia. L’ultima notizia arriva da Yerevan, dove il ministero della Difesa ha accusato Ankara dell’abbattimento di un caccia Su-25. La Turchia nega e parla di propaganda, ma negli ultimi giorni a fare la differenza rispetto a episodi del passato è stata proprio la sua posizione, più assertiva che mai nell’appoggio totale all’offensiva dell’Azerbaijan sulla regione contesa. In tre giorni, sommando i bollettini delle due parti, le vittime degli scontri sarebbero più di 700, compresi civili.
IL JET ABBATTUTO
Secondo il ministero della Difesa armeno, il jet di derivazione sovietica sarebbe stato abbattuto da un caccia turco F-16, partito dalla base di Ganja (nell’ovest dell’Azerbaijan) e arrivato nello spazio aereo di Yerevan, lontano dalla zona di confronto del Nagorno Karabakh. Ankara ha per ora smentito, così come Baku, che spiega la mossa armena come un tentativo di spingere la Russia a intervenire. Se confermata, la notizia porterebbe il confronto su un livello decisamente più pericoloso. Si tratterebbe infatti del primo contatto diretto tra Armenia e Turchia, con ricadute inevitabile sugli altri attori coinvolti nella regione. L’ambasciatore armeno a Mosca Vardan Toganyan ha già fatto sapere l’intenzione di ricorrere all’Organizzazione del trattato di sicurezza collettivo (Csto), accordo difensivo che lega l’Armenia alla Russia (insieme a Bielorussia, Kirghizistan, Tagikistan, e Kazakistan). Mosca, che finora ha mantenuto un atteggiamento prudenziale invitando al cessate-il-fuoco, potrebbe essere costretta a intervenire.
LA RUSSIA IN ARMENIA
Al momento, l’appoggio russo all’Armenia è sicuramente minore rispetto a quello turco all’Azerbaijan. Eppure, i legami operativi tra Mosca e Yerevan sarebbero maggiori. Oltre agli accordi in sede Csto, la Russia controlla in Armenia le basi militari di Gyumri (al confine con la Turchia a nord est del Paese) e la base aerea di Erebuni (a nord est di Yerevan), per un totale stimato di circa 5 mila soldati russi sul territorio armeno. A Gyumri, presso la 102esima Base militare dell’esercito russo, a dieci chilometri dal confine con la Turchia, sono stanziati ufficialmente 3 mila soldati, artiglieria pesante, i missili terra-aria S-100, e persino i caccia di superiorità aerea MiG-29. Qualora la situazione degenerasse ulteriormente, non si può escludere un intervento russo.
LE FORNITURE MILITARI
D’altra parte, il rischio attuale d’escalation è il frutto della modernizzazione militare che Armenia e Azerbaijan hanno perseguito negli ultimi anni, evidenziata nei recenti report dell’autorevole istituto svedese Sipri. L’Armenia spende il 4,9% del proprio Pil per la Difesa; l’Azerbaijan il 4%, ma su un Pil molto più alto. Nel periodo 2015-2019, l’import militare armeno è cresciuto del 415% rispetto al quinquennio precedente. Quello azerbaigiano è diminuito del 40% tra i due periodo, ma resta comunque il triplo di quello di Yerevan. Se l’Armenia importa per il 94% dalla Russia, per l’Azerbaijan è Israele il primo fornitore (60%), seguito dalla Russia (31%) e dalla Turchia (3,2%). Difatti, come ci spiegava Nona Mikhelidze dell’Istituto affari internazionali (Iai), nonostante gli accordi con Yerevan, Mosca mantiene buoni rapporti anche con Baku persino sul fronte degli approvvigionamenti militari.
LE TRINCEE FORTIFICATE
Eppure, come dimostrerebbero i fatti delle ultime ore, più degli armamenti di Azerbaijan e Armenia, è l’intervento diretto della Turchia che rischia di fare la differenza. L’analista del Centro studi internazionali Paolo Crippa ha notato che fino agli scontri di questi giorni “Armenia e Azerbaijan erano rimasti al concetto di scontro sulle piane tipico della Guerra fredda, puntando soprattutto sul ricorso a carri armati e mezzi corazzati sovietici T-72 e T-90”. Sul confine tra Nagorno Karabakh e Azerbaijan ci sono trincee vere e proprie, che certo negli ultimi anni hanno visto la dotazione progressiva di sistemi di difesa tecnologicamente più avanzati, sistemi di lancio multiplo, artiglieria pesante e missili anticarro e antiaereo. Tutto questo ha permesso lo stallo con episodi escalatori ricorrenti ma isolati. Difatti, nonostante la spesa militare dell’Azerbaijan sia quantitativamente più elevata, la natura del conflitto ha consentito finora condizioni di parità sostanziale.
L’INTERVENTO TURCO
L’intervento già riportato di droni turchi Bayraktar ha mischiato le carte in tavola. “Gli armeni hanno batterie di anti-aerea di derivazione sovietica, fortificazioni corazzate e missili anti-carro: tutto ciò che serve per rallentare un’eventuale avanzata azera”, ha spiegato Crippa. Tuttavia, “negli scontri di questi giorni, a un certo punto gli armeni si sono visti arrivare dall’alto droni tattici di buon livello, tra cui soprattutto i Bayraktar turchi e non avevano sistemi per individuarli”. Ora rischiano di fare ancora peggio gli F-16. Finora l’utilizzo di caccia è stato escluso dal conflitto, e anche questo ha contribuito a mantenere la tensione entro un certo grado. Grado che ormai potrebbe essere già stato superato.