La macchina del potere putiniano ha riportato un altro successo: le regionali dello scorso weekend si sono chiuse con una vittoria per i candidati sostenuti dal Cremlino. Poco importano le denunce di brogli e irregolarità varie. I candidati di Russia Unita, il partito di Vladimir Putin, eletti al primo turno sono stati 18; circa un terzo di loro con risultati sopra all’80 per cento. Significa che il sistema che costituisce il potere a Mosca ancora tiene.
E tiene anche perché l’uomo che avrebbe potuto infiammare le piazze, Alexei Navalny, non ha potuto fare il suo lavoro a causa di un avvelenamento da Novichok proprio mentre stava rientrando dalla Siberia, dove aveva tenuto incontri in vista delle elezioni. Sarà forse una coincidenza, ma nelle città che il leader della lotta alla corruzione in Russia aveva visitato – prima di rischiare di morire nel volo di ritorno a Mosca – i candidati dell’opposizione al Cremlino hanno ottenuti alcuni successi. Sebbene magri, sebbene non ci sia stata mobilitazione assoluta per il voto utile, chiesto da Navalny a favore di chiunque avrebbe potuto battere gli uomini di Putin. Ha funzionato solo a Novosibirsk e Tomsk, ma attenzione: è molto significativo che Tomsk sia la città dove Navalny ha fatto l’ultimo tour elettorale prima di finte in coma per l’avvelenamento.
Il voto delle elezioni locali per il Cremlino è stato dunque confortante. Significa che quella macchina è ancora in grado di mobilitare i lealisti. Non c’è un nuovo consenso attorno a Putin, tutt’altro: i flussi elettorali dimostrano che hanno votato in blocco i fedelissimi, mentre gli altri sono stati più pigri alle urne – e non a caso la campagna di Navalny aveva questo genere di sensibilizzazione tra gli obiettivi. Significa, ancora, che Putin e i suoi sono ancora in grado di mobilitare le masse fuori dal centro federale del paese (l’affluenza è stata più alta del solito, e incrociandola con gli altri dati è chiaro verso chi si siano mossi gli elettori). Insomma, sono in grado di mettere a tacere gli oppositori e vincere.
Non è poco per chi non bada al consenso ma al controllo del potere. Circostanza che si specchia nella crisi bielorussa: l’incontro di ieri con Aleksander Lukašenka aveva come obiettivo riaffermare l’interesse russo affinché il batka non molli adesso, ossia non ascolti la piazza legittimandola in qualche modo. E quindi, non dia spazio ad ambizioni che potrebbero contagiare la Russia. Il controllo è tutto, la potenza è relativa.
Dal letto dell’ospedale Charite di Berlino, Navalny conferma quanto anticipato dal New York Times, ossia l’intenzione di tornare in Russia una volta ripreso. Come dice la sua portavoce, sarebbe “impossibile il contrario”: l’attivista anti-Putin è un uomo in missione, ha più volte subito sulla sua pelle i rischi della strada intrapresa, e comprende perfettamente che per compiere il suo progetto (utopico, sognatore per quanto sia) sa che deve stare in Russia.
“Respiro da solo. Mi mancate”, ha scritto Navalny su Instagram. Mentre da Mosca è iniziata la controffensiva. Il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, dice che quanto è successo all’oppositore al ritorno dalla Siberia non può e non deve inficiare i rapporti con l’Occidente. È una dichiarazione interessata, perché in questo momento a Bruxelles sono in valutazioni sanzioni, che potrebbero essere anche pesanti, se dovessero andare a colpire il Nord Stream 2 (il raddoppiamento del gasdotto che taglia il Baltico e sposta il bene russo fino alla Germania). Forse l’unico reale modo per pressare Mosca, forse l’unico reale interesse per Mosca, come spiegava su queste colonne Nona Mikhelidze dello Iai.
Contemporaneamente Mosca continua a spingere la propaganda, sia per il fronte esterno (i fan in giro per il mondo) che per quello interno (i lealisti che servono per riempire le urne, testati sulla risposta nei giorni scorsi). Il presidente della Duma, Vyacheslav Volodin, dice che quanto accaduto a Navalny è stata una provocazione inscenata dagli Stati Uniti con l’obiettivo di creare il presupposto per nuove sanzioni. Attenzione qui, perché dietro non c’è soltanto il confronto classico Usa-Russia e lo storytelling politico però: in gioco c’è anche la partita sul gas. Se il Nord Stream dovesse essere bloccato, per Washington sarebbe più facile piazzare in Europa il gas naturale liquefatto che ha iniziato a esportare.
Il direttore dei servizi segreti esterni della Russia (SVR), Serghei Naryshkin, rilancia: la Russia vuole delle spiegazioni dalla Germania, dice, perché quando Navalny è partito dall’ospedale di Omsk – quello in cui è stato soccorso inizialmente, dopo un’atterraggio di emergenza – non aveva tracce di veleni nel suo corpo. Ossia, si instilla la narrazione secondo cui l’attivista russo sarebbe stato colpito da uno scompenso metabolico dovuto a uno shock glicemico (versione ufficiale per Mosca) e che il Novichok – che anche Francia e Svezia hanno individuato nei campioni analizzati – sia stato in qualche modo inserito nella cartella clinica in un secondo momento. Torna il piano dall’esterno per costruire l’avvelenamento, sebbene il Novichok sia un agente nervino reperibile soltanto dagli alti livelli di difesa e intelligence russi.