“Pronto? Sì, finisco un’altra intervista e ci sono. Dieci minuti”. Un brivido di euforia percorre la voce di Christian Tybring-Gjedde. Il telefono squilla ininterrottamente, mattina e sera, da ventiquattro ore. Capita, quando decidi di nominare il presidente degli Stati Uniti Donald Trump per il Premio Nobel per la Pace.
Norvegese, 57 anni, membro del partito di ultra-destra Framstegspartie, capo delegazione all’Assemblea parlamentare della Nato, si è ritrovato da un giorno all’altro sulle tv di mezzo mondo. Perché, esercitando un diritto che spetta da regolamento ai parlamentari norvegesi, ha trasformato una storia di fantapolitica in realtà. Trump, il presidente di ferro che picchia duro sull’immigrazione e mal sopporta le organizzazioni internazionali, è ufficialmente in lizza per il Nobel.
“Non penso che lo vincerà. È l’esatto contrario del profilo ideale per i media e l’intellighenzia di sinistra, che preferirebbero un’Ong che salva rifugiati o un attivista per il clima”, confida il deputato a Formiche.net. “Poco importa. Se solo guardassero ai fatti, capirebbero che lo merita lui più di tanti altri”. Cioè? “L’accordo fra Israele ed Emirati Arabi uniti, un passo storico, senza precedenti, cui spero vorranno aderire altri Paesi arabi della regione”.
Tybring-Gjedde racconta la sua giornata di gloria. L’annuncio, via Fox News, della candidatura. Che, va da sé, non è certo una vittoria. A selezionare il vincitore sarà infatti il comitato per il Nobel, composto da cinque membri nominati dal Parlamento norvegese. E però ha regalato a Trump un sorriso in una settimana che gliene ha strappati pochi, tra proteste, virus che avanza e un libro-accusa di Bob Woodward che pesa come un macigno.
Tant’è che su Twitter non si è fatta attendere la risposta del Tycoon, “grazie!”, rilanciata all’unisono dai canali ufficiali. Ieri, nel turbinio di chiamate, una è arrivata dalla Casa Bianca. “Mi ha chiamato un alto funzionario del suo team, per dirmi che sono entusiasti, sperano che questa nomination sia di ispirazione per le nazioni mediorientali che vogliano seguire quel percorso di pacificazione”. “Ho scelto Fox – continua – perché se ne avessi parlato alle tv norvegesi, mi avrebbero ridicolizzato”.
Non serve fare la pace, basta cercarla per meritare quel premio, dice. “Nel 1993 qui, a Oslo, Arafat, Peres e Rabin hanno vinto il Nobel per la Pace per gli accordi in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. È durata a lungo? Non mi sembra”. E poi anche Barack Obama ha vinto quel trofeo, “senza meritarlo”. “Non era colpa sua, non l’ha mai chiesto e quando glielo hanno consegnato era anche un po’ imbarazzato”.
Alla meta manca ancora un bel pezzo, comunque. I vincitori non saranno annunciati prima di ottobre 2021, e fra Trump e quel premio ci sono altri 300 candidati, un numero record. I bookmakers, peraltro, danno il Tycoon in netto svantaggio. In cima c’è un terzetto non proprio trumpiano, stando alla classifica di Betfair. Al numero uno l’Oms (5-2), l’organizzazione bollata come filocinese dagli Usa nell’occhio del ciclone dell’emergenza. Segue la super-liberal premier neozelandese, Jacinda Andern (5-1), per aver traghettato il Paese fuori dalla pandemia in tempi record. Terza Greta Thunberg (3-1), la giovane attivista svedese pro-ambiente che con Trump si è più volte pizzicata su Twitter.
“No, probabilmente non lo vincerà” è costretto infine ad ammettere Tybring-Gjedde. Che in fondo ha un po’ la “mano facile” per le candidature ai Nobel. Pensare che nel 2018 voleva nominare il dittatore nordcoreano Kim Jong-un per la photo-opportunity con Trump al confine fra le due Coree.
“Dico solo che lo merita per i risultati raggiunti sul campo. Sicuramente più di Joe Biden, che è stato al potere a Washington Dc per 47 anni di guerre e violenze di ogni genere. Obama ha iniziato la guerra in Libia, continuato quella in Iraq. Trump è il primo presidente in decenni che non ha iniziato una guerra. Ma a Oslo fanno finta di non vedere”.