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Il papa influencer e il potere segreto dell’inquadratura. L’analisi di Buoncristiani

Il bravo influencer sa come guadagnarsi l’attenzione delle nostre menti sempre più distratte e occupate a giocare su più tavoli. Siamo multi-tasking e quindi costantemente dissociati, ma i veri professionisti possono gestire i temi potenzialmente “caldi” per illuminarli con quella certa inquadratura, quella e non un’altra, che ci porterà a discuterne, a focalizzarci, a investire un po’ del nostro tempo.

Come dimostra il suo discorso di Cernobbio, tra i fuori classe della comunicazione non solo c’è Chiara Ferragni, ma anche papa Francesco. Eh sì, proprio lo stesso papa che durante il Covid ci ha offerto sceneggiature memorabili e degne di Sorrentino, ad esempio durante la preghiera solitaria, da una piazza San Pietro deserta e struggente sotto la pioggia.

Ora papa Francesco ha battuto un altro colpo, parlando del vero spauracchio di questa nostra epoca: la decrescita economica. Bergoglio ha sostenuto che grazie al Covid abbiamo messo a fuoco l’essenziale nelle nostre vite.

Dice Bergoglio, che non dobbiamo aver paura della decrescita. Anzi, se la prendiamo con creatività, questo ci potrà aiutare a proteggere le risorse della terra. Parlare di decrescita economica dando valore all’idea che “meno” sia “meglio” significa cambiare inquadratura. Dare un nuovo “frame” alla paura della crisi. Non lo dicono, ma l’idea di un’accelerazione senza fine guida(va) i leader mondiali. La loro angoscia di rallentamento dell’economia è implicito il “chi si ferma è perduto”. Tutti per anni hanno provato a rincorrere la crescita a due cifre del Pil della Cina. Non potevamo non crescere.

La psicoanalisi avrebbe parlato dell’impossibilità di elaborare il limite e la finitezza. Non è una novità, dall’Imperatore Costantino in poi, la Chiesa sforna le migliori campagne di comunicazione. Ha cominciato qualche millennio prima che i guru del marketing politico ci spiegassero che vince chi intuisce prima degli altri come incorniciare i problemi. Bergoglio ha preso il nome del santo più pauperista della storia, ma senza cadere nell’ideologia della penitenza. Al fondo, questa sua nuova impostazione pone al centro il gusto della vita, mentre sposta l’inquadratura dalla corsa sfrenata al sostare creativo che apre all’estetica (e quindi ai sensi) oltre che all’etica.

Cornici, finestre, inquadrature, perché parlare di interdipendenza tra ambiente umano e non umano ha molto a che fare con la constatazione che il “setting” che ci circonda determina il significato delle nostre esistenze, la qualità dei nostri desideri e la trama delle nostre paure. Ciò che teniamo fuori e ciò che vogliamo dentro fonda la nostra identità, ma come possiamo distinguere “il nostro” da “l’altrui” è determinato dal tipo di limite che incontriamo (anche) nell’ambiente non umano. Tra noi e loro c’è una montagna o una parete? C’è un muro o una finestra? O una mascherina…?

Se vi chiedo quante dita avete probabilmente rispondete cinque – diceva il geniale psicologo Gregory Bateson – aggiungendo che per lui questa risposta era sbagliata. La giusta risposta sarebbe stata: “Gregory, stai facendo una domanda sbagliata, la domanda corretta è quante relazioni tra coppie di dita avete? La risposta è quattro”. Bateson invitava a spostare l’inquadratura. Consigliava di cogliere la differenza tra vedere una mano come base per cinque parti (cinque dita) e vederla costituita da un groviglio di relazioni. Una configurazione di legami di dipendenza reciproca tra fibre che sono determinanti per lo sviluppo della mano.

A sorprenderci ancora oggi è la conclusione: se riuscirete a vedere la mano in questo modo, penso che all’improvviso essa vi apparirà molto più bella. Non è un caso che nell’ultima Enciclica si parli proprio del diritto di tutti alla bellezza.

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