Figlia novenne: “Mamma, ma sono matti, dopo sette mesi, a farci tornare a scuola così all’improvviso”.
Mamma: “Ma come, figlia mia, non sei contenta di rivedere le maestre e i tuoi compagni?”
Figlia novenne: “Non posso avere paura?”
Mamma: “Colpita e affondata”
Ebbene sì. La scuola fa paura. Tanti bambini nelle classi, tante occasioni di assembramento, tanti possibili focolai. Le minoranze fobiche che risiedono in ognuno di noi sono già in allerta e strategicamente alleate con il partito dell’esame di realtà. Cioè, siamo spaventati ma abbiamo le nostre buone ragioni, perché il rischio del contagio è reale e purtroppo concreto. C’è la preoccupazione dei virologi, che aspettano al varco di vedere che forma prenderà la curva dei contagi, ricordandoci che oltre agli anziani sono in tanti a essere “fragili” rispetto al virus. C’è l’ansia di chi si è preso la responsabilità del lungo lockdown e ora della riapertura. I politici tremano per questo primo giorno di scuola: in un certo senso anche il governo Conte si è rifugiato nella tana della prudenza e ora gli tocca “uscire fuori”, esporsi. Con tutti i partiti di opposizione pronti a cogliere l’occasione per mettere in crisi il governo.
Da bravi mammiferi socialmente orientati, noi umani siamo divisi tra il desiderio di esplorare il mondo e il bisogno di rifugiarci nella nostra tana. Per tutti il Covid ha infatti contribuito a spostare il piatto della bilancia psichica verso il ritiro in sé e nei propri spazi “sicuri”. I cuccioli della specie non fanno eccezione. Loro, come noi, durante la quarantena hanno amplificato la tendenza a stare in luoghi appartati e protetti.
La psicoanalisi la spiega come un’esigenza primaria di fusione con figure genitoriali, bisogno che deriva dal nostro nascere dipendenti dalle cure di chi si occupa di noi, ma che possono attivarsi in diverse fasi della vita. Nel secolo scorso, uno psicoanalista italiano – Elvio Fachinelli – ha parlato di “claustrofilia”: l’attrazione irresistibile verso uno stato di piacere dato dal sentirsi chiusi nell’intimità in uno spazio senza tempo (di cui l’utero materno è il modello originario). Claustrofilia è una serenità perfetta, che protegge dal sentirsi assediati dal pericolo ma esclude dall’esplorazione vitale.
Dunque il primo giorno di scuola ci rimette in contatto con il fuori, incanala le nostre energie nelle gestione del rischio reale di questa delicata transizione, ma attiva anche un senso di perdita di quel piccolo illusorio spazio di tranquillità costituito dalle nostre prigioni casalinghe.
Ci facciamo forza, dicendo che non si poteva fare altrimenti. Ricordando che l’esperienza scolastica è lo spazio dove si giocano competenze mentali, emotive, sociali e civili indispensabili. Senza scuola si produce un danno allo sviluppo. Così armiamoli di mascherine e gel, ma mettiamoci l’anima in pace. Possiamo anche avere paura.