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Il contratto con il M5S è da rivedere. I paletti di Alessandro Alfieri (Pd)

Gli accordi si fanno sempre almeno in due. Sono in pochi nel Pd a fare i salti di gioia per il sì al referendum, specie fra gli iscritti, confessa a Formiche.net Alessandro Alfieri, senatore e membro della Commissione Esteri, prima linea dell’area riformista del Nazareno. Ma i patti sono patti, e “vanno rispettati”. Il Movimento Cinque Stelle, con Luigi Di Maio, lo ha fatto sulla politica estera, abbandonando gli arroccamenti antiatlantici. Lo faccia adesso anche sulla legge elettorale, dice il senatore. Che però ci tiene a precisare: “Questa non è un’alleanza, è un contratto. E dopo le regionali dobbiamo rivederlo”.

Sì, lo voglio. Il Pd di Nicola Zingaretti alla fine ha benedetto il referendum grillino.

Il referendum rientra in un patto di governo, e noi rispettiamo i patti. Speriamo lo facciano anche i nostri interlocutori, garantendo i correttivi che abbiamo chiesto per il sì al taglio, per evitare distorsioni e diseguaglianze fra le regioni.

Insomma, dite sì ma pensate quasi tutti no.

Noi ci siamo già espressi nel merito, in Parlamento. Ripeto, si tratta di un compromesso che però richiede un passo in avanti anche da parte dei Cinque Stelle. Se c’è un po’ di rammarico fra gli iscritti del Pd sui territori è perché questa campagna, invece che soffermarsi sull’opportunità dei tagli ai costi e agli sprechi e sull’efficienza delle istituzioni, troppo spesso si fa trascinare dalla demagogia.

E qualcuno inizia a credere che tra voi e i Cinque Stelle non ci siano grandi differenze…

Noi di Base Riformista abbiamo spiegato molto chiaramente la differenza fra un contratto di governo e un’alleanza strutturale. La seconda non ci interessa e non è all’ordine del giorno. Magari in futuro ci si potrà avvicinare, oggi mancano i presupposti. Lo abbiamo detto a Zingaretti ed è un sentimento prevalente nella comunità del Pd.

Sarà, ma i sondaggi dicono che quell’alleanza può far comodo. In Puglia, ad esempio.

È successo lo stesso in Emilia-Romagna. Bonaccini ha cercato un’interlocuzione per costruire un’alleanza elettorale con il Movimento Cinque Stelle. Non c’erano le condizioni, così si è rivolto direttamente ai suoi elettori.

Quindi la caccia è aperta.

La competizione è competizione, vince chi convince di più. Varrà tanto più quando ci sarà davvero una legge di impianto proporzionale. Chi in passato ha votato Cinque Stelle in Puglia deciderà se preferisce consegnare la regione alla destra di Fitto o al centrosinistra. Vince chi prende un voto in più.

Sempre i sondaggi dicono che la rossa Toscana, oggi, è contendibile. Non è già una sconfitta?

Ancora una volta, l’Emilia-Romagna insegna. Diversi sondaggi davano il centrodestra vittorioso, raccontavano una partita molto tirata. Non è andata così. Il segreto è stare sul territorio, e questo è uno dei maggior pregi di Giani. Vero, il centrodestra si è avvicinato. Ma sono fiducioso che ce la faremo.

E se così non fosse? Le tensioni faranno tremare il governo?

Ci sono tensioni oggi sui sondaggi, figuriamoci domani sui risultati. Non c’è elezione regionale in Italia che non sia incensata come test decisivo per il governo in carica, la realtà è diversa. A prescindere dall’esito del voto, è opportuno dopo sedersi intorno a un tavolo e discutere di come aggiornare il contratto alla luce della pandemia.

Come?

Al centro c’è una domanda: usiamo 200 miliardi di fondi europei come tappa-buche, allungare la Cassa integrazione o ridurre la disoccupazione, oppure per fare scelte coraggiose di politica industriale, immaginare nuovi modelli di sviluppo? Noi abbiamo le idee chiare.

Alfieri, un anno fa avete fatto questo governo con la promessa di tenere lontana la destra. Oggi quella stessa destra è in forma, cresce, e bussa a Palazzo Chigi.

È forte nella società, ma non è al governo del Paese, un dettaglio non da poco. Ovviamente l’obiettivo di questo governo non può essere solo quello di non far governare gli altri. All’epoca si trattava di un’emergenza immediata. Oggi dobbiamo dare una prospettiva al Paese che esce dalla crisi.

Non aiutano i continui litigi. L’ultimo sulla riforma dell’intelligence, che un gruppo di grillini ha tentato di fermare con un blitz alla Camera.

Su temi così delicati non si fanno manovre e giochini in Parlamento. Si chiariscono all’interno delle riunioni di maggioranza, a viso aperto. Trovo scorretto giocare su campi diversi.

Un altro nodo di coalizione, la politica estera, inizia a sciogliersi. Oggi i Cinque Stelle sono un po’ meno filocinesi?

L’ho riconosciuto, lo ribadisco. Luigi Di Maio in particolare ha fatto passi avanti notevoli. Dalle foto con i gilet gialli a una conferenza stampa in cui ribadisce a un ministro cinese la nostra netta adesione di campo europea e atlantica, ricorda la differenza fra partner ed alleati, chiede il rispetto dei diritti umani, ne è passata di strada.



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