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Il Pd fra Zingaretti e Bonaccini (e il fattore Conte). Parla Panarari

Il dato di fatto è che Stefano Bonaccini, rieletto governatore dell’Emilia-Romagna, è l’unico che all’interno del Partito democratico continua a riscuotere successo e a mietere consensi. Ora però, bisogna capire che tipo di velleità e di ambizioni può avere nell’ambio dei ruoli nel Pd. Che rapporti intercorrono tra lui e Nicola Zingaretti? La leadership del governatore del Lazio è realmente consunta? Bonaccini potrebbe sostituirlo?

A questi interrogativi ha risposto Massimiliano Panarari, sociologo della comunicazione, saggista e docente universitario. “La via del Pd odierno, cioè quella dell’alleanza strutturale con il Movimento 5 Stelle – analizza Panarari – mostra tutti i suoi limiti: lo strabismo strategico che lo stesso ministro Dario Franceschini (reale artefice dell’operazione, in un certo senso il Mazzarino di questo progetto) continua a cercare di aggiustare. Questi segni di incompatibilità sono evidenti nella misura in cui, con la volontà di creare un centro democratico e riformista, il Pd non può pensare che i populisti grillini siano parte strutturale dell’alleanza”.

Rispetto a questo, secondo il politologo, Bonaccini diventa una sorta di “riferimento naturale, in quanto portatore di un’idea di rapporto tattico con i 5 Stelle. Riconosce al Movimento il ruolo di interlocutore per stipulare degli accordi per ragioni spesso prettamente numeriche”. Bisognerà però valutare, osserva Panarari, “quale sarà il risultato del Movimento dopo le Regionali. L’alleanza strutturale, se i sondaggi vengono confermati, sarà problematica anche per ragioni numeriche”. D’altro canto Bonaccini “ha vinto le problematiche elezioni in Emilia-Romagna – ricorda il docente – e lo ha fatto sulla base di una linea politica riformista in grado di intercettare voti al di là delle sigle e dei partiti perché indubbiamente ha una personalità molto forte. In netta antitesi con quanto sta accadendo in questo momento storico al Pd”. Un partito, analizza Panarari, che dopo l’esperienza renziana “ha scelto di diventare un partito in cui non c’è un leader forte. Mi sembra però che Bonaccini in rapporto con Zingaretti sia molto attento a non ‘strappare’ a non sovrapporsi”.

Questo atteggiamento piuttosto cauto che il governatore emiliano-romagnolo ha nei confronti dell’attuale segretario è da leggersi come una mancanza di volontà di fare la scalata nel partito? “Bonaccini ha avuto esperienze di leadership nazionale anche in una fase precedente. In lui c’è una componente forte di bravo amministratore – riprende il sociologo – che ha dimostrato anche nelle sue esperienze politiche precedenti, un’altissima caratura. Bonaccini rappresenta un’altra linea rispetto alla leadership attuale”. Una visione politica che “considera il populismo un dato di fatto del panorama politico attuale. Il governatore emiliano-romagnolo esprime una posizione marcatamente riformista che ha una capacità di dialogo con i settori dell’economia rispetto alla quale il Pd e il governo mostrano degli evidenti problemi”.

Parlando di governo, Panarari è chiaro: “I dem hanno scelto questo esecutivo sulla base di una situazione emergenziale. Nella convinzione di poter ripetere una condizione simile al Conte I. La situazione a cui assistiamo però è esattamente opposta: nel governo giallo-rosso insiste un elemento di continuità strutturale rappresentato da Conte, ma l’agenda politica è dettata dai grillini”. L’esempio più lampante è il voto sul referendum sul taglio dei parlamentari. Ma i problemi del Pd non finiscono qui.

Il politologo ne individua uno in particolare che riguarda la “ricucitura con il mondo produttivo e il dialogo con i lavoratori”. Poi c’è il tema del Mes. “Se il Partito democratico non riesce a far sottoscrivere il Mes di cui c’è un evidente bisogno, è chiaro che la presenza del Pd all’interno di questo governo si dimostra ancora una volta annacquata. Motivi per i quali il Pd non riesce a schiodarsi dal 20% dei voti”. Un partito in definitiva “consegnato all’orizzonte del governismo”. Forse l’ipotesi di vedere Bonaccini salire alla segreteria del Pd potrebbe dare fastidio. Prima di tutto a Conte.

“Zingaretti ha sottoscritto un patto di sostegno totale nei confronti di Conte – chiude – qualunque cambiamento sarebbe quindi fastidioso. Per Conte sarebbe fastidioso soprattutto il coinvolgimento di Mario Draghi. Da questo punto di vista, un cambio di leadership all’interno del Pd significa anche muovere una fetta dello schema politico attuale che potrebbe aprire uno spiraglio al cambiamento di premiership indirizzata proprio verso Draghi”.

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